Blera e Vulci: Ponte della Rocca, Ponte del Diavolo, Ponte dell’Abbadia.

Pavia, ancora Giancarlo, abbiamo perso il conto di quanti “pezzi” il nostro “geometra” abbia scritto per noi. In questo non solo ci parla di ponti etruschi, ma mostra le sue capacità di illustratore. Sono suoi infatti gli acquarelli che accompagnano il testo, come questo a sinistra, il ponte sul rio Canale.

Blera e Vulci sono antiche città etrusche in provincia di Viterbo, nella Maremma laziale. Il nome attuale di Blera proviene forse dall’etrusco “phlera”, da cui il nome latino di Blera, citato e
riportato anche nella Carta Peutingeriana, era importante insediamento fin dall’età del Bronzo. Raggiunge un notevole livello economico tra il VII e
Ponte sul Rio Canale
il V secolo a. C. come città etrusca, favorita dalla collocazione su un promontorio tufaceo limitato da due corsi d’acqua, il Ricanale e il Biedano, e dai contatti con i due vicini centri di Tarquinia e Cerveteri.  In seguito all’assimilazione a Roma, Blera diviene municipio, traendo vantaggi dalla sistemazione del tracciato viario etrusco, trasformato nel III secolo a. C. in via consolare. La via Clodia, infatti, partendo da Roma, attraversava la cittadina e proseguiva fino a Tuscania, costituendo fino all’età medievale una delle principali vie commerciali dell’Etruria interna fino alla Toscana. Dell’antico percorso
della via Clodia restano ancora porzioni di “tagliate” nel tufo e due ponti, realizzati in opera quadrata; essa arrivava a Blera da nord attraversando il fosso Rio Canale con il Ponte della Rocca (II sec. a. C.), in tufo a un solo arco, pochi metri prima che confluisse nel fiume Biedano stesso. Non esiste una strada decentemente carrabile per poter permettere ad eventuali turisti, studiosi, di poter osservare la tecnica costruttiva degli Etruschi ed il mirabile stato di conservazione dopo 2200 anni, nonostante sia esposto agli agenti atmosferici ed alle intemperanze umane. Da sud la Via Clodia arrivava a Blera attraversando il fiume Biedano, con il Ponte del Diavolo (I sec. a. C.), è in peperino, a schiena d’asino,  con tre archi (l’arco centrale misura circa 7,80 mt, mentre i due archi laterali sono da circa 2,85 mt.). 
Blera, ponte della Rocca
Ponte dell’Abbadia (acquarello di G. Pavia)
Dobbiamo sottolineare che è in una situazione viaria ancora peggiore del ponte citato in precedenza: difatti è abbandonato in fondo ad una valle, soffocato dalla vegetazione spontanea, appena visibile dal ponte della Abbadia di Vulci. Tra l’altro è più recente (2100 anni) ma mostra una tecnica costruttiva più perfezionata e di notevole valore  estetico anche ai giorni nostri. Se nei siti archeologici di Blera e Vulci si rilevano le vaste necropoli che occupano le zone limitrofe dei due simili altopiani sui quali giacciono, si trae la certezza della lunga vitalità di ambedue gli antichi centri, sicuramente attivi fino al I sec. a. C. Le origini di Vulci (Velcha) si perdono nella notte dei tempi delle prime civiltà italiche. Qui si sono trovati resti risalenti al periodo Neolitico e dell'età del Bronzo. Ma è con il periodo Villanoviano (tra il IX ed l’VIII secolo a. C.) che Vulci raggiunse il suo massimo splendore. A questo seguì poi una lenta decadenza fino alla sconfitta di Vulci nel 280 a. C., ad opera dell'esercito romano guidato dal console Tiberio Coruncanio.  Il sito di Vulci, con il suo castello e il suo Ponte dell’Abbadia, (I sec. a C.), dominano dall’alto i due precedenti ponti giacenti nella vallata sottostante. Mentre il sito di Vulci è stato valorizzato in maniera esemplare, tanto che è famoso nel mondo e plurivisitato, si potrebbe aumentare il valore archeologico del territorio di Blera, sottolineando con un po’ di buona volontà e modeste opere di accessibilità e fruizione (nonché con strutture di protezione per poterle ammirare nel tempo), i due ponti della Rocca e del Diavolo. Essi sono mirabili e, per ora, ancora visibili, esempi della valentia costruttiva etrusca per i ponti, che storicamente ha influenzato tutto l’occidente nelle costruzioni di strutture arcuate; difatti praticamente la totalità dei ponti costruiti sino al IV sec. d. C. esistenti mostrano ancora le arcate originali o quanto meno le pile di fondazione laddove siano stati ricostruiti in epoche successive.
Giancarlo Pavia