Storie di lupi e lupacchiotti alle porte di Roma e in giro per la penisola

Il primo ad arrivare in zona era stato Romolo, questo il nome che gli fu immediatamente dato dai responsabili dell’Oasi di Castel di Guido, gestita dalla Lipu, la Lega italiana per la protezione degli uccelli. Romolo era un lupo adulto e aveva trovato rifugio a due passi da Roma, appena fuori dal GRA, il grande raccordo anulare, all’interno dell’Azienda Agricola Castel di Guido. Ma Romolo scomparve dopo pochi mesi. La notizia era stata tenuta segreta dai responsabili della Lipu: era il 2013 e il fatto era ritenuto clamoroso. Pensate: un lupo a meno di venti chilometri dal centro del centro di Roma, da quel luogo tra l’Arco di Giano e il Foro Boario dove la leggenda individua la nascita dei fondatori della città, di Romolo e Remo, appunto.
Questo doverosa premessa serve a far capire quanto complessi e difficili da interpretare siano i movimenti della fauna selvatica in un Paese come l’Italia dove vivono 60 milioni di persone. Romolo
era arrivato forse dai monti della Tolfa, sopra Civitavecchia o dai boschi intorno Bracciano. Era riuscito a traversare indenne strade statali, viadotti, centri abitati, riuscendo a servirsi di corridoi ecologici come piccole macchie, corsi d’acqua, viottoli di campagna. Sparito Romolo, nel 2014 i responsabili di questa piccola area protetta, 200 ettari all’interno di una azienda agricola che ne conta 2500, si accorsero della presenza di altri due lupi adulti, una coppia questa volta. Forse Romolo era stato un esploratore e gli altri due lupi avevano iniziato a “colonizzare” un’area ritenuta sicura. Forse, ma sta di fatto che Numa e Aurelia, così sono stati chiamati, non sono spariti. Anzi, si sono riprodotti.
Alla fine del 2016 le foto trappole a infrarossi, piazzate da Alessia De Lorenzis, responsabile dell’Oasi, mostrarono due cuccioli in azione, abbastanza tranquilli. Ma il sospetto che ce ne fossero altri è diventato realtà quando si è capito recentemente che i giovani lupi presenti in zona sono cinque. Uno di loro ha problemi agli arti e forse non riuscirà a sopravvivere. Quindi un vero classico branco formato dalla coppia e dalla prole. Hanno cibo a volontà per la presenza soprattutto di cinghiali, preda preferita da questi progenitori di tutte le razze di cani. La notizia dei lupi che vivono alle porte di Roma ha fatto il giro del mondo, prima passata di mano in mano da parte di zoologi e appassionati, poi salita agli onori della cronaca scritta e televisiva. Una notizia positiva che fa il paio con un'altra storia di lupi che questa volta arriva dalla Maremma toscana: un altro branco famigliare ha scelto di vivere all’interno della pineta della Feniglia, quel lembo di verde che costeggia la laguna di Orbetello, famosa per le migliaia di fenicotteri che vi vivono. Qui i lupi hanno trovato cibo a volontà decimando la colonia di daini che viveva indisturbata nella pineta e
dando la caccia ai cinghiali che sono praticamente ovunque. La notizia dei lupi di Orbetello, tenuta segreta per almeno un anno, è dilagata ora al punto che folti gruppi di fotografi naturalisti, o che si dicono tali, si riversa nei fine settimana lungo la parte lagunare della pineta a “caccia” fotografica di questi canidi, oggetto di leggende e di falsi miti. I Lupi in Italia popolano tutto l’Appennino e parte delle Alpi. Sono forse duemila o anche meno: un vero censimento non è stato mai fatto e il dato non è scientificamente accettato. La specie però è in espansione da quando una legge dei primi anni Settanta ne decretò la protezione. Allora erano un centinaio e rischiavano di estinguersi per l’accanimento di bracconieri, trappolatori e avvelenatori con stricnina.
La situazione attuale però comincia ad essere complicata e difficile da gestire per il continuo allarme che soprattutto la stampa locale quotidianamente o quasi lancia con servizi e titoli allarmistici in cui sembrerebbe che i lupi assedino città come Grosseto o Siena, tanto per fare un esempio, e siano un serio pericolo per uomini e animali domestici. È una storia che si ripete da sempre: da quando leggende metropolitane affermavano con sicurezza che i lupi, di probabile origine russa o meglio siberiana, in Italia erano stati lanciati con i paracaduti dal Wwf per ripopolare, insieme alle vipere, aree impervie dell’Appennino. Non c’è nessuno invece, tra i fautori del continuo “Al lupo! Al lupo!”, che abbia mai messo in evidenza il problema delle centinaia di migliaia di cani rinselvatichiti che vagano per le nostre fasce montane e collinari, facendo danni di ogni tipo tra la fauna selvatica e quella domestica. C’è un dato comunque che va preso in considerazione. I lupi in Italia si sono fatti
meno elusivi, si fanno fotografare, si fanno vedere di più. Hanno perso un po’ di quella diffidenza che li faceva essere lontani e inavvicinabili, tranne quando la loro presenza era avvertita dai resti delle pecore morte sgozzate, ritrovate dai pastori. I lupi di Castel di Guido e della Feniglia di Orbetello sono i protagonisti di una storia zoologica particolarmente importante. Dimostra più che mai che la capacità di adattamento della specie è al di fuori dell’ordinario. Ma ci sono altre storie che destano invece preoccupazione. Una l’ha raccontate recentemente Luigi Boitani, il nostro zoologo e conservazionista più famoso. Un branco di 6-7 lupi, in un’area collinare a ridosso dell’Appennino modenese, attacca e uccide cani, saltando i recinti di case private. Episodi totalmente inediti, fatti mai sentiti prima che fanno pensare e riflettere. Per gli studiosi di comportamento animale questo nuovo modo di agire da parte dei lupi è pericoloso e pone degli interrogativi. Se alcuni lupi hanno imparato a uccidere in questo modo possono insegnare ad altri nuclei lo stesso tipo di aggressione? E questo
branco “anomalo” va eradicato, cioè questi lupi devono essere uccisi?  Difficile rispondere a questa domanda. Ma ci sono altri casi anomali e si aprono scenari che portano lontano. In questo mondo selvatico e domestico allora finiscono per interagire accanto all’uomo non solo lupi e cani rinselvatichiti ma anche i cosiddetti ibridi, esemplari di femmine di lupo che si sono accoppiate con cani, animali  il cui DNA non permette di classificarli al cento per cento lupi, tantomeno al cento per cento cani. Ibridi che hanno nel sangue qualcosa di domestico per cui conoscono l’uomo e non ne hanno più paura. Il problema che si pone allora è estremamente delicato. Cosa deve fare l’istituzione che dovrebbe gestire il patrimonio della fauna selvatica di fronte a modifiche genetiche di questo tipo? Ma questa è un’altra storia, molto complessa e forse irrisolvibile. Nello sfondo restano i lupi, molto amati e altrettanto odiati, soprattutto da chi non li conosce. Quelli che hanno, per ora, deciso di vivere alle porte di Roma, oltretutto in un’oasi protetta, sono un caso felice che deve farci sorridere. E non rispondere “crepi” quando qualcuno ci dice “in bocca al lupo”. Ma: “Viva il lupo vivo”.
Fabrizio Carbone