A punta Vipera Sergio Orata era ghiottissimo del pesce che ha nome orata

La peschiera di Punta Vipera vista dal drone
Ecco di nuovo il nostro “geometra”, lo scrittore Giancarlo Pavia, che dopo i  ponti romani che non ci sono più, ora ci parla dell’allevamento di pesci della peschiera romana di Punta Vipera, una delle più belle, complete e meglio conservate “peschiere Romane” (piscinae) risalente al I sec. a.C. - II sec. d.C.. È proprio sul mare, la potete visitare al km 64,400 della via Aurelia, poco prima di Civitavecchia, in corrispondenza del civico 512.
I romani costruirono lungo le coste del Mare Nostrum moltissimi impianti dove allevavono murene, orate, anguille, triglie e persino lo scaro (pesce pappagallo). Lo scrittore Macrobio (IV – V sec. d. C.)
Le vasche all’interno del bacino
ha lasciato quella che è probabilmente
la più antica testimonianza riguardante l’allevamento del pesce presso le più facoltose famiglie romane. “I Licinii furono chiamati Murena allo stesso modo che Sergio Orata ebbe tale soprannome perchè era ghiottissimo del pesce che ha nome orata. Si tratta di colui che fu il primo a fare allevamenti di ostriche. Si facevano venire le murene per i vivai della nostra città fin dallo stretto di Sicilia. Sono le migliori, a giudizio degli spendaccioni”.
Quella di Punta Vipera faceva della domus (villa) della quale costituiva l’allevamento di pesci; la notevole durata temporale della peschiera si può attribuire all’abbandono del Santuario posto in posizione adiacente.

È larga 48 metri, lunga 30 e profonda 2,50 circa (dagli originali 3,50, causa insabbiamento) e si presenta come un bacino rettangolare avente tre lati costituiti da grandi strutture ortogonali cementizie spese tre metri) a difesa dalle onde, suddivisa internamente con muri in opus reticulatum spessi 80 centimetri in tredici vasche rettangolari ed una circolare del diametro di venti metri. La circolazione delle acque marine avveniva attraverso fori bordati da archi in muratura laterizia, chiusi da cataratte forate (clatri) manovrabili dall’alto, probabilmente in bronzo, piombo, rame, pietra, con le quali si regolava il flusso delle acque e nello stesso tempo  impedivano ai pesci di uscire dalle singole vasche.

Ricostruzione della villa e della peschiera
Il ricambio e la alimentazione acque delle vasche doveva essere assicurato da tre grandi canali sottomarini collegati alla struttura fronte mare e che immettevano acqua purificante prelevata al largo. Storicamente viene attribuita a Columella, ben noto esperto dell’epoca, sia il progetto che la costruzione della peschiera. In Italia se ne contano 54 (Villa di Tiberio a Sperlonga , Porto S. Stefano, villa Muzuk a Parenzo, Ventotene, Torre Astura, Baia Pozzuoli, Nettuno, Pianosa, Torre Valdaliga, Pian di Spille, ecc.); e molte altre sono ubicate  nei territori dell’Impero (addirittura una a Saracca, insabbiata nel deserto). La peschiera faceva parte di una imponente domus esistente sulla attuale area della villa Galliano, e nel cantinato della stessa esistono resti della parte termale della domus; a monte del terreno che fiancheggia l’Aurelia, si è rinvenuto un vero e proprio tempio funerario, tutt’ora visibile.
Particolare del muro in opus reticulatum
La ricostruzione grafica a colori della stessa domus ci fa apprezzare la distribuzione degli ambienti (giorno, notte, servizi ed aree accessorie) tutto improntato alla grandiosità e lusso per l’uso di materiali pregiati (mosaici, capitelli, decorazioni marmoree pregiate) e ci  fanno comprendere il fasto, la estrema eleganza e raffinatezza della vita dei nobili romani del tempo, molto diversa dalla febbrilità che pervade anche le nostre scelte architettoniche e costruttive, oberate dagli assurdi ritmi della vita moderna. La peschiera è stata oggetto di particolari studi da parte di scienziati e di meteorologi i quali l’hanno adottata  quale sito per effettuare test dell’innalzamento dei mari dal I sec. a. C., innalzamento valutato in circa un metro e mezzo.  Ovviamente dopo aver costatato l’interesse e l’importanza della peschiera, ci si chiede se si dovrebbero/potrebbero progettare ed  allestire delle protezioni e/o sistemazioni per la conservazione futura e la godibilità del reperto archeologico; senza contare ulteriormente sulla grande resistenza delle strutture latero-cementizie già conclamata dai duemila anni di vita. Io stesso ebbi la gioia di nuotare nell’interno di essa qualche estate passata poiché ero ospite della villa Galliano che ne detiene la spiaggia; pertanto ho avuto modo di esplorare e fotografare i singoli riquadri che la compongono, ammirando sia la tecnica costruttiva delle strutture murarie,  sia il sistema di bocche di ricambio delle acque, facendomi rivivere e toccare 2000 anni dopo l’ingegno dei costruttori dell’epoca.
Giancarlo Pavia