La settima perla di Amor di Mare ci parla di mezzo secolo della Marineria Elbana

La collana Amor di Mare della nostra casa editrice si è arricchita di una nuova perla, la settima. Il titolo accattivante è a firma di un elbano doc, il saggista Gianfranco Vanagoli presidente onorario di Italia Nostra Arcipelago Toscano e vice presidente del Centro Nazionale di Studi Napoleonici. Quindi nessuno più di lui poteva scrivere “La marineria dell’isola d’Elba dall’età napoleonica alla fine della Toscana Lorenese” e il sottotitolo “Storia, Protagonisti, Immagini, Documenti” ci porta nel cuore delle vicende della marineria elbana, tra le più interessanti dell’intero panorama nazionale. Il libro attraversa gli anni dal 1804 al 1859 che videro l’Elba di volta in volta essere parte dell’Impero Francese, stato indipendente sotto Napoleone e dominio di Lorena fino alla loro caduta e all’unificazione della Toscana con il Regno di Sardegna.
Dal punto di vista della gente di mare, tale arco di tempo significò una progressiva dilatazione delle rotte possibili e un misurarsi costante con un’evoluzione tecnica del naviglio mai stata tanto rapida e incisiva. Per i centri dove la gente di mare prevalse, quantitativamente e culturalmente, esso conobbe la nascita di grandi capitali e l'innalzamento generalizzato del livello di vita. Ma le circostanze non si susseguirono sempre favorevoli: a lungo le flotte barbaresche incrociarono fin nelle acque di casa; inoltre pesò la contrapposizione tra la Francia napoleonica e la Gran Bretagna.

I traffici si restrinsero a tal punto, in qualche momento, che non restò, da Rio a Portoferraio a Campo, che abbracciare la corsa e, occasionalmente, perfino la pirateria. La stagione migliore cominciò negli anni Trenta, scomparsa la minaccia barbaresca, una  serie di trattati aprì nuove vie del mare. Quelli con l'impero turco aprirono la rotta del grano. Da allora i bastimenti elbani si divisero tra le vecchie destinazioni sulle coste del continente italiano, francesi, spagnole, africane, lungo le quali avevano sempre trasportato soprattutto minerale di ferro e vino, e le nuove, sul Bosforo, nel Mar Nero, nel Mar d'Azov. Ma ve ne furono anche che uscirono nell’Atlantico per portarsi in America, in Colombia, in Argentina o nelle Antille, spesso carichi di emigranti, o nell'Europa settentrionale, nei grandi terminali del carbone. Le flotte degli armatori locali si rinnovarono, dando sempre più spazio al brigantino di grandi dimensioni, scoprendo il brigantino a palo e il re dei velieri quadri, la nave. A tutto ciò corrispondeva una crescita costante dell’opzione marinara tra la popolazione maschile attiva che, nella somma dei ruoli delle diverse capitanerie di porto, valeva, nel 1858, tremilacinquecentottantacinque iscritti e i bastimenti erano duecentosedici.