I valenziani hanno Wikipaella, e perché non fare wikipastaconsarde in omaggio alla Dieta Mediterranea? È la proposta di Maria Guccione
Di Maria Guccione, della
sorella Giovanna, favignanesi e del loro Albergo Ristorante Egadi gestito per 42 anni abbiamo parlato spesso nel nostro settimanale, per
sincerarsene basta scrivere nel motore di ricerca Settimana delle Egadi,
usciranno svariati servizi dove sono citate.
Il loro libro Frascatole: Favignana, ricetteed altre storie
non può mancare a chi è appassionato di cucina, dove sono elencate decine di
ricette di cucina favignanese e trapanese nel contesto della Dieta Mediterranea,
che dal 2010 fa parte della Lista dei patrimoni
culturali immateriali dell'Umanità, riconosciuta dall’Unesco.
Maria, oltre che scrittrice,
è anche una sapiente affabulatrice, che sa catturare l’attenzione con le sue
storie di cucina e non solo. Di recente è entrata a far parte della giovane AssociazioneCucina Siciliana delle Cummari Trapanisi,
nata per valorizzare, recuperare e far conoscere quanto di buono c’è nella
Provincia trapanese dal punto di vista alimentare e gastronomico. È sua questa
breve dissertazione sul tema della Dieta Mediterranea.
Maria Guccione |
Il cibo, anche il più
semplice e modesto che consumiamo nel nostro quotidiano, rappresenta per ognuno
di noi un viaggio, un momento di relax nel quale cerchiamo sollievo dalle
preoccupazioni e dalla stanchezza della giornata; rappresenta spesso, specie
quando siamo in posti nuovi, l’occasione di una singolare esperienza cognitiva,
una speciale occasione di confronto con altri luoghi, altre abitudini
alimentari, altre culture, altre storie. Ciò è particolarmente vero in Sicilia
dove lo stratificarsi secolare di genti e culture ha lasciato tracce indelebili
non solo nel paesaggio ma anche negli usi e nelle colture cui fa riferimento la
nostra alimentazione.
I sapori sono sempre legati
in modo indissolubile al SAPERE, inteso come conoscenza di materie prime, di
erbe aromatiche, di ricette, di abilità manuali nella preparazione, di usanze e
persino di senso estetico.
Questa è la premessa per
parlare della dieta mediterranea, argomento che in questi ultimi tempi ha
attratto l’attenzione di molti, scuole incluse. È di pochi giorni fa
l’intervista rilasciata dal Sindaco di Castellammare del Golfo per lanciare il
progetto “MangiAmo” avviato nelle scuole della città allo scopo di
sensibilizzare alunni e famiglie sulla necessità di una sana e corretta
alimentazione, visto che i dati sull’obesità infantile sono preoccupanti per
cui l’Amministrazione ha ritenuto urgente una campagna informativa capace di
promuovere interesse verso la Dieta Mediterranea e verso il consumo di sani
prodotti locali, allo scopo di invertire
questa pericolosa deriva.
Giovanna Guccione |
Quando parliamo di dieta
mediterranea ci riferiamo ad un modello di alimentazione normalmente
presente in alcuni paesi del Mediterraneo che condividono lo stesso tipo
di colture: cereali in genere, olivi, agrumi, viti, pastorizia. Ben 16 sono le
nazioni che si affacciano sul Mediterraneo; in esse le tradizioni
gastronomiche variano in relazione a differenze etniche, religiose,
culturali, ma comunque tutte fanno riferimento ad alimenti di base
comuni come vegetali, legumi, cereali, frutta, olio di oliva.
Va precisato che il termine
DIETA è un termine improprio: si dovrebbe piuttosto parlare di uno stile di
vita, di un modello che, pur nel rispetto delle differenze locali, accomuna le
citate popolazioni e si ispira, e non solo in campo alimentare, ad un modus
vivendi in cui l’equilibrio, la frugalità, il legame stretto con la natura,
hanno prevalso per secoli.
Storicamente, già dalla fine
del 1800 ci si è occupati di scoprire la correlazione tra alimentazione e
benessere. Vari medici europei che svolgevano la loro attività in Oriente si
resero conto che l’alimentazione di quelle popolazioni, parca e povera di
grassi, garantiva loro uno stato di salute buono e buone aspettative di vita.
Gli studi condotti dall’inglese Elizabet David nella prima metà del ’900 fecero
conoscere ed apprezzare agli europei piatti mediterranei come gli spaghetti al
pomodoro, la moussaka greca, la paella spagnola e ingredienti come il basilico,
lo zafferano, l’aglio e l’olio di oliva fino a quel momento quasi ignorati nei
paesi del Nord Europa. Ma il vero teorizzatore della D.M. è stato l’inglese
Ancel Keys che ha dedicato tutta la vita a ricerche e verifiche su di essa.
Nel
suo libro Seven countries study, Keys
dopo approfondite ricerche condotte in ben 7 paesi tra cui l’Italia, teorizza
che in quei paesi nei quali aveva riscontrato una alimentazione povera di
grassi ma ricca di fibre e di zuccheri complessi (più lenti da assorbire) le
malattie cardiache e metaboliche erano meno frequenti. C’è da dire però che
quando Keys iniziò i suoi studi negli anni ’50 si veniva fuori da una guerra
spaventosa, pertanto lo stile di vita di popolazioni come quella italiana,
greca o spagnola era necessariamente modesto e si basava su molto lavoro nei
campi (e quindi moto) e su un’alimentazione a base di pane, pasta, verdure,
legumi, cipolle, aglio, poco formaggio, qualche uovo, miele e quasi totale
assenza di carne.
Non fu difficile per Keys
scoprire e provare che tale tipo di alimentazione, poverissima di grassi
saturi, garantiva a quelle popolazioni, per lo più povere e rurali, uno stato
di salute buona e buone aspettative di vita. L’importanza della D.M.
ormai è stata certificata dall’Organizzazione mondiale della Sanità che, nel
1990, ha confermato quanto asserito da Keys, cioè lo stretto rapporto tra il
modo in cui ci alimentiamo e l’insorgere di malattie come il diabete, il
colesterolo e danni vascolari. Siamo insomma ciò che mangiamo.
Nel 1999 il Ministero della
Salute Greco ha pubblicato la sua famosa PIRAMIDE in cui i concetti base sono
essenzialmente due: la modica quantità e la frequenza con cui consumiamo i vari
tipi di alimenti. La Piramide punta a far conoscere alla popolazione la
necessità di una alimentazione sobria e bilanciata. Alla base della piramide ci
sono gli alimenti che si possono consumare tutti i giorni come pane, pasta,
riso, patate, cereali in genere ossia carboidrati che dovrebbero coprire il
50/55/% della nostra alimentazione quotidiana. Seguono frutta, verdura, legumi
ricchi di fibre vitamine e antiossidanti a cui vanno aggiunti olio di oliva,
latte e latticini (necessari per il calcio). Le proteine animali non dovrebbero
superare il 15% della dieta giornaliera e vanno ricavate dal consumo di uova,
pesce e carni bianche per 3/4 volte a settimana. Non vanno escluse del tutto le
proteine perché ci forniscono le vitamine del gruppo B, il ferro, lo iodio e
gli omega3 (olio e pesce) Limitatissimo dovrà essere il consumo di carni rosse
che si trovano perciò nella parte alta della piramide. Infine il consumo di
grassi, preferibilmente insaturi, non dovrebbe superare il 30%, non va però
trascurato il fatto che gli oli insaturi ad alte temperature (es. nella
frittura) producono sostanze tossiche. Il discorso sui grassi saturi e
polinsaturi è complesso e meriterebbe un discorso a parte fatto da uno specialista.
Nel dubbio meglio evitarli. Il Ministero greco concludeva la sua pubblicazione
raccomandando di cuocere i cibi nel modo più semplice e di variarli il che
giova sia alla loro appetibilità che ad evitare carenze nutrizionali.
È interessante conoscere le
motivazioni che hanno indotto l’UNESCO a dichiarare la D.M. patrimonio
culturale dell’umanità. Si tratta di motivazioni di tipo soprattutto
antropologico infatti la Commissione afferma che “la Dieta mediterranea coinvolge abilità,
rituali, conoscenze, simboli, tradizioni nel modo di coltivare prodotti
agricoli o di praticare la pesca e l’allevamento e anche la lavorazione, la
cottura e la conservazione degli alimenti” Come si può notare questa
definizione include un mondo che va ben
oltre il semplice cibo per arrivare a valorizzare il ruolo della famiglia e
della donna come depositari di tecniche e tradizioni alimentari, arrivando fino
agli agricoltori, all’artigianato, alle attrezzature per la preparazione di
alimenti, alle abitudini alimentari legate alle festività, ai valori
dell’ospitalità, ai rapporti e agli scambi interculturali fino al ruolo degli
anziani come depositari di conoscenze da trasmettere alle future generazioni.
Oggi una nuova sensibilità
verso l’uso delle risorse e una maggiore attenzione alla prevenzione e al
benessere del corpo ci stanno riportando a quei piatti e a quei parametri
alimentari che hanno regalato ai nostri nonni una buona vecchiaia ma che noi
per alcuni decenni abbiamo snobbato. Così oggi fioriscono scritti, conferenze,
associazioni, programmi tv con l’unico scopo di valorizzare i piatti più
genuini della nostra tradizione sotto l’egida della dieta mediterranea. Ma cosa
mangiavano i nostri nonni? Un esempio ci viene dal mondo dei “pirriatura”. Gli
operai delle cave di pietra portavano, a turno, sul posto di lavoro, per
mangiarlo insieme ai compagni, il salamureci, un piatto poverissimo a base di
aglio pestato, sale, basilico, pomodoro a pezzetti, qualche pezzetto di sgombro
o di tunnina (tonno) salata, il tutto immerso in un tegame d’acqua con un filo
d’olio. In esso si intingeva il pane, seduti tutti attorno come fanno gli arabi
con il couscous. Un cibo poverissimo, privo di grassi, che sostituiva il pranzo
e pure dava a quegli uomini l’energia necessaria a svolgere un lavoro
durissimo: estrarre la calcarenite (il tufo) con ingegneristica precisione,
creando ingrottamenti e cave a cielo aperto che hanno dato vita ad un habitat
pietriforme che ancora oggi colpisce e affascina Favignana.
Nelle famiglie si mangiava
semolino con latte, frittate di asparagi selvatici, erbe spontanee bollite come
la borragine, legumi e pomodori, “ogghiu a mare” fritto, (le attinie) ricci,
tutti prodotti che spesso venivano raccolti direttamente perché non avevano
mercato. Gli omega 3 venivano dal consumo di pesciolini di poco prezzo che oggi
sono quasi scomparsi come “macchettu”, lattarini e pettini. Si conoscevano
mille modi per cucinare e rendere deliziosi sgombri, sarde, sauri e palamiti.
Chi poteva, mangiava ogni
tanto uova e pollame. Carni rosse solo di rado o in occasione di feste ed
eventi. Gli ortaggi occupavano un posto privilegiato, sia come secondo piatto
che come condimento per pasta e minestre, spesso accompagnate da pane raffermo.
Abbondante era l’uso di
aglio e cipolla noti fin dal tempo degli antichi romani per le loro proprietà
benefiche sull’organismo. La cipolla infatti è diuretica, depurativa ed
antiglicemica. L’aglio è ipotensivo, anticoagulante, anticolesterolo,
antibiotico naturale, immunostimolante ed antiossidante. Spesso la cottura di
alcuni cibi si accoppiava all’uso del limone di cui sono note le proprietà come
astringente, antisettico, antiemorragico oltre che ricco di vitamina C.
Dunque un modo di vivere ed
alimentarsi che purtroppo, per qualche tempo, abbiamo perso di vista e che va
recuperato come bene prezioso. Un modo di vivere che ha permesso all’Italia,
Sicilia e Sardegna in testa, di avere oggi tanti centenari che sono per lo più
ex lavoratori dei campi che per tutta la vita hanno lavorato molto e mangiato
in modo frugale. In Italia mediamente si registrano 25 centenari ogni 100.000
abitanti. Sulla stessa linea si attestano paesi come Grecia, Marocco e Croazia
che da sempre si alimentano in modo frugale e seguono, senza mai averle dato un
nome, quella che oggi noi definiamo Dieta mediterranea. La longevità
naturalmente non dipende solo dall’alimentazione ma anche dalle migliorate
condizioni igienico sanitarie, ma è ormai provato che il suo ruolo è
fondamentale.
Ultimamente ha trovato ampio
spazio sulla stampa il caso di Montemaggiore Belsito, un Comune rurale di 3500
abitanti, a 70 km da Palermo, dove vivono ben 9 arzilli centenari, tutti
testimoni di una vita di fatica e povertà. Anziani che pur avendo raggiunto il
secolo conservano una mente lucida tanto da poterci raccontare le loro
esperienze.
Modifichiamo quindi il
nostro stile di vita, torniamo ad una alimentazione senza eccessi, rispettosa
dei ritmi del nostro corpo e accompagniamola con sane abitudini come ad esempio
il camminare a piedi. Le ricette per una
alimentazione gustosa e variata non ci mancano: dagli spaghetti al pesto alla
pasta “chi sardi a mare” ; dalle frittate di carciofi, broccoli, finocchietto
selvatico agli gnocchi al ragù di gronco (pesce che nessuno compra più); dallo
sgombro marinato alle polpette di sarde; e poi ancora arancini, caponate,
peperonate, cipolle in agrodolce, couscous di verdure… tutti piatti, come si
dice oggi, ecocompatibili, rispettosi della natura e delle risorse e, cosa che
non guasta, anche della tasca. Ma soprattutto amici della nostra salute e del
nostro benessere pur consentendoci quel viaggio del gusto nel mondo dei sapori
e dei profumi cui ho accennato all’inizio di questa relazione.
Questa nostra eccezionale
gastronomia andrebbe promossa al meglio possibilmente sfruttando le moderne
tecnologie. Citerò un esempio: I valenziani hanno fondato in assonanza con
Wikipedia, Wikipaella. Chi va su wikipaella.org trova informazioni sulla paella
valenziana, sui ristoranti, le marisquerie e le tapas in cui è possibile
trovare la miglior paella, sui locali presso cui è possibile frequentare dei
corsi per apprenderne la preparazione. E
se fondassimo anche noi una serie di WIKI (wikicaponata o wikipastaconsarde…)?
Basterebbe coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la salvaguardia delle
identità di questo territorio. La nostra Associazione non si tirerà indietro.
Maria Guccione