Berlino 1936, XI Olimpiade. Il racconto romanzato di una pagina sportiva dimenticata

Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, le squadre universitarie di canottaggio godevano di enorme popolarità, e spesso tenevano testa a quelle di baseball e football in termini di copertura giornalistica. Milioni di tifosi seguivano i progressi delle loro squadre durante gli allenamenti e la stagione di gara, un semplice mal di gola di un timoniere poteva finire in prima pagina. Le scuole privare insegnavano il canottaggio perché era uno sport raffinato e inserivano i loro vogatori-gentleman nelle più prestigiose università. I tifosi più devoti collezionavano perfino le figurine dei loro equipaggi del cuore.
E di uno di questi equipaggi che lo scrittore e saggista americano Daniel James Brown racconta le gesta con il libro Erano ragazzi in barca, la vera storia della squadra di canottaggio che umiliò Hitler, quando il pomeriggio del 14 agosto del 1936 a Berlino, sullo specchio d’acqua del Langer See, sotto gli occhi di Adolf Hitler e di una folla immensa si svolge la finale dell’otto maschile di canottaggio più attesa dell’XI Olimpiade. Quell’equipaggio con il suo timoniere coronò un sogno incredibile, la conquista della medaglia d’oro, in uno dei più emozionanti e sorprendenti trionfi negli annali della specialità.
La finale, la barca americana in ultima corsia
Solo pochi mesi prima nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulle possibilità di vittoria della squadra dell’Università di Washington, formata da ragazzi di umili origini, figli di un’America messa in ginocchio da una spaventosa crisi economica. Eppure, spinti dall’insopprimibile desiderio di cambiare un destino apparentemente segnato, gli studenti della Washington sostengono senza battere ciglio allenamenti sfiancanti in condizioni climatiche proibitive e, grazie all’aiuto di tecnici esperti e inflessibili, ma ricchi di umanità, imparano a superare individualismi e gelosie, e a fidarsi ciecamente l’uno dell’altro, trasformandosi in una delle migliori squadre di canottaggio di tutti i tempi.
Il canottaggio agonistico è un’impresa di straordinaria bellezza, durante la voga, i principali muscoli di braccia, gambe e schiena – in particolare quadricipiti, tricipiti, bicipiti, deltoidi, grandi dorsali, addominali, ischiocrurali e glutei – svolgono gran parte del lavoro più duro, spingendo in avanti la barca contro la resistenza di acqua e vento. Al tempo stesso svariati muscoli più piccoli del collo, dei polsi, delle mani e perfino dei piedi sincronizzano in continuazione gli sforzi del corpo, garantendogli un bilanciamento costante per assicurare il delicato equilibrio necessario a mantenere stabile un’imbarcazione lunga quasi 19 metri e larga 60centimetri, pressapoco quanto il girovita di un uomo. Il risultato di tutto questo sforzo muscolare è che il corpo brucia calorie e consuma ossigeno un ritmo che non ha uguali in nessun’altra attività umana. I fisiologi hanno calcolato che una gara di canottaggio di 2000 metri – lo standard olimpico richiede lo stesso costo fisiologico di giocare due partite di basket consecutive. E lo richiede in circa sei minuti.
La tessera olimpica
Anche il sistema scheletrico al quale i muscoli sono legati è sottoposto a tremendi sforzi e sollecitazioni. In assenza di un allenamento e di una forma fisica adeguati, i vogatori agonistici sono soggetti a una vasta gamma di infortuni che producono spesso dolori insostenibili. Questa è la prima e più importante nozione che tutti i vogatori principianti devono imparare sul canottaggio agonistico ai suoi massimi livelli: che il dolore ne è una parte integrante. Per questo il canottaggio è forse il più duro degli sport. Quando comincia la gara, non ci sono time out o sostituzioni. Spinge fino al limite dell’umana sopportazione. È l’allenatore che svela i segreti di quel tipo particolare di sopportazione che scaturisce dalla mente, dal cuore e dal corpo. Tutto questo fu subito chiaro ai ragazzi che aspiravano a entrare nella squadra delle matricole dell’Università di Washington nell’autunno del 1933. Alla luce di una grande mole di documenti dell'epoca – quotidiani, giornali radio, notiziari cinematografici, diari privati – e di interviste e colloqui con i protagonisti e i loro parenti e amici, Daniel James Brown racconta, in poco meno di 500 pagine, con la leggerezza del romanziere una pagina di storia sportiva troppo a lungo ignorata, tracciando dapprima il fedele ritratto di un’America che tenta faticosamente di uscire dalla Grande Depressione, e poi, attraversato l’oceano, descrivendo la straordinaria avventura vissuta da nove ragazzi dello Stato di Washington a brodo della loro barca, la Husky Clipper, con le lamine di cedro liscio spesse 4 millimetri, fresate di cedro giallo, intelaiatura di frassino, falchette in leccio e un rivestimento da prua a poppa ottenuto con seta impregnata di vernice.
Soprattutto una tipica bombatura che la rendeva compressa, scattante e vitale sull’acqua. Nella Berlino nazista nell’estate del 1936 la prua della barca americana all’infernale ritmo di 44 battute al minuto e con il cuore a 200 battiti tagliò il traguardo dei 2000 metri in 6 minuti 25 secondi e 4 decimi, esattamente sei decimi prima della barca italiana e un secondo esatto di quella tedesca.

A sn. Il timoniere Bobby Moch