Sapore di mare, sapore di sale


A Favignana mentre si svolgeva la manifestazione “La Settimana delleEgadi al tempo dell’Expo” alcuni grandi tonni sono entrati nel porto. Forse un ricordo di quando in tempi recenti si calavano ancora le reti della storica tonnara, così hanno potuto riprendere indisturbati il loro cammino. Ma l’auspicio però, è che l’anno prossimo, ci sia di nuovo la tonnara ad attenderli per catturarli.
Molti gli argomenti trattati nel corso della manifestazione, tra questi “Il Tonno nella cultura siciliana” con una relazione di Marcella Croce, giornalista e scrittrice, presidente del Centro Studi di Palermo Avventure nel mondo, che con il suo “Guida ai saporiperduti, storie e segreti del cibo siciliano con quaranta antiche ricette” ha sottolineato come per i siciliani il cibo ha grande importanza. In una riunione informale fra amici come in un pranzo ufficiale, l'argomento non manca di eccitare gli animi, di rompere ogni tipo di ghiaccio, di sconfiggere ogni inibizione. 
Mangiare è sempre un atto culturale, dando alla parola cultura quel senso lato che molti le hanno negato. Non una singola isola, ma un agglomerato di isole, quasi un subcontinente, è la Sicilia, dove la geografia e l’aspra natura del terreno hanno per millenni rappresentato una barriera naturale alla circolazione di merci e di idee. 
Nel campo culinario molto è sconosciuto anche agli stessi abitanti dell’isola: in Sicilia c'è tutto un universo sommerso di cibi che sono conosciuti solo in una zona, a volte addirittura solo in un quartiere, o che si possono comprare in una singola pasticceria o panificio. Frascatole, 'nfasciatieddi, funciddi, piscirè, 'nfigghiulate, e molto altro ancora: vere e proprie reliquie da preservare. Ogni siciliano, specie se di una certa età, conserva alcuni di questi misconosciuti brandelli di cultura legati ai propri ricordi d'infanzia o all'esperienza ancora viva del quotidiano. È importante riunire il maggior numero possibile di queste informazioni, per un atto di conoscenza collettiva e per una speranza di futura memoria.
Del suo libro abbiamo tratto la presentazione.
Sapore di mare, sapore di sale 
…ci èranu tiempi
ch’ i pisci murièvano ri vicchiaia…
(Detto siciliano)
Fra Sicilia occidentale e orientale esistono notevoli differenze culturali che, già presenti in epoca preistorica, si sono accentuate nei secoli. Sicani e siculi prima, fenici e greci poi, si spartirono il territorio costituendo una barriera che, seppure neanche lontanamente paragonabile alle frontiere esistenti fra le odierne nazioni, permane viva fino ai nostri giorni. I successivi dominatori, pur essendo a turno padroni dell’intera isola, concentrarono il proprio potere in alcune particolari zone dell’isola che ancora ne evocano in vario modo la presenza: così accade che tracce bizantine si siano conservate quasi esclusivamente nella Sicilia orientale, e che l’influenza degli arabi, sebbene sia rimasto appena qualche muro attribuito senza alcun dubbio a loro, sia tuttora percepibile soprattutto nella Sicilia occidentale. L’isola può sommariamente essere divisa in occidentale e orientale anche nel cibo che, come è inevitabile, trae in gran parte origine dagli animali presenti nel territorio.
L’estremità nord-orientale della Sicilia è scenario di suggestive leggende: quella di Scilla e Cariddi, i mostri omerici affrontati da Ulisse, quella di Morgana, la fata azzurra dei miraggi, quella di Cola Pesce, il nuotatore che rinunciò all’amore della figlia del re per sostenere sott’acqua la colonna incrinata di quell’angolo di Sicilia che rischiava di inabissarsi. 
È il regno del pescespada che, come il tonno, sfrutta le correnti e segue particolari rotte migratorie nel periodo degli amori. Non viaggia in grandi branchi, ma passa solitario o in coppia nelle acque dello Stretto di Messina: sembra infatti che, come talune specie di uccelli, rimanga fedele al compagno/a fino alla morte.
Le imbarcazioni tradizionali di un tempo erano grandi barche (feluche) munite di un imponente palo su cui stava appollaiato l’avvistatore (“ntennere). Il pescespada veniva quindi arpionato dagli altri pescatori che accorrevano sul posto con le agili barchette da inseguimento (luntri dal latino linter). I luntri erano costruiti in legno di gelso o quercia ed erano dotati di quattro remi eccezionalmente lunghi (in media metri 5,13) che quando la barca era a riposo bilanciavano i movimenti degli uomini come la pertica quelli dell’equilibrista. A poco a poco i luntri sono stati sostituiti dalle barche motore in uso oggi, che sono munite di un altissimo albero da cui è possibile avvistare il pesce, e di passerelle lunghe oltre venti metri che permettono ai pescatori di avvicinarlo. Sono invece oggi proibite le grandi reti dette spadare, lunghe fino a 20 chilometri, e alte 30 metri producevano il cosiddetto “effetto muro”, catturando senza nessun criterio selettivo fino a trenta specie di pesce differenti.
I luntri avevano una forma molto affusolata, quasi i pescatori nell'idearla si fossero ispirati alla forma del pescespada o al gladio, la lamina cornea a forma di pugnale che si trova all’interno del calamaro. Già nell’antichità Polibio e Oppiano lasciarono dettagliate descrizioni, affermando che il pescespada nello Stretto di Messina veniva pescato con barche costruite a sua immagine e somiglianza: si poteva in tal modo trarre in inganno i pesci che si lasciavano avvicinare senza difficoltà. Da questa antica prassi, oltre che da esigenze funzionali deriverebbero la loro forma anche le muciare, le possenti barche nere senza motore che vengono trascinate intorno alla camera della morte per la mattanza dei tonni.
Assistette per intere giornate alla pesca del pescespada il principe Don Giovanni d’Austria, che si recò a Messina prima della battaglia di Lepanto e che volle essere istruito a tirare la lancia, e fino al ’700 la pesca continuò a essere oggetto di spettacolo per le famiglie nobili messinesi. Patrick Brydone, nel suo Viaggio in Sicilia e a Malta (1773), la considera una pesca alla balena in miniatura e racconta che i pescatori messinesi sussurravano al pescespada delle filastrocche in greco per attirarlo vicino alla loro barca: il pesce stava incantato ad ascoltare quella strana lingua e si lasciava così facilmente catturare, ma si credeva che se avesse ascoltato anche una sola parola in italiano, si sarebbe inabissato per sempre.
A Messina il pescespada ha un ruolo importante nella cucina tradizionale: uno dei piatti più elaborati e aristocratici, di chiara influenza francese, è l’impanata di pescespada in cui il ripieno di pesce è inserito in un involucro dolce di pasta frolla. I pescivendoli locali hanno sviluppato una speciale abilità nel tagliare il pesce in fette sottilissime, necessarie per la fattura dei famosi involtini (o braciole) di pescespada, di cui gli involtini di spatola sono una versione più economica. Oltre a pangrattato (che i siciliani chiamano mollica), pinoli e uva passa, il ripieno degli involtini prevede olive e capperi finemente sminuzzati, e con gli stessi ingredienti esistono ricette nelle quali i filetti di pesce sono sistemati in tortino invece che arrotolati. Come per il tonno, si usavano un tempo tutte le parti del pesce, compresa a bbotta (la parte di carne vicino al colpo inferto dalla fiocina), e l’occhio, conservato sotto sale o lesso. Subito dopo averlo ucciso, i pescatori per tradizione graffiavano con le unghie una croce sul pesce (cardata da cruci), quasi a purificarne la morte, e mangiavano a filedda, la cartilagine fra le venature ossee della spina dorsale.