Il relitto di Marausa è restaurato. Ora serve una casa per esporlo


Salerno, Giovanni Gallo, a sn, e Sebastiano Tusa
Completato il laborioso lavoro di recupero e restauro del relitto di Marausa, i legni sono pronti per essere esposti e musealizzati. Lo scorso 29 settembre a Salerno il laboratorio Legni e Segnidella Memoria, artefice del restauro, li ha ufficialmente “consegnati” a Sebastiano Tusa direttore della Soprintendenza del Mare siciliana.
Era il 1999 quando il relitto è stato individuato, sono passati quindici per avere i 700 pezzi restaurati pronti per essere riassemblati.
E ora? Tusa non ha dubbi, visto che Marausa è nella provincia di Trapani, la naturale destinazione finale è la Colombaia, l’antica fortezza medievale situata su un’isoletta all’estremità orientale del porto di Trapani. 
La Colombaia
Impiegata come carcere fino al 1965, quando fu inaugurato il nuovo carcere di Trapani, è poi caduta in stato d’abbandono. La Regione recentemente ne ha annunciato il restauro. 
È pronto il progetto da sette milioni e 300mila euro, a valere sulla programmazione fondi europei 2014-2020, la cui denominazione ufficiale è «Intervento di restauro del Castello della Colombaia– Realizzazione del Museo relitto di Marausa»
Salerno, Sebastiano Tusa e Giovanni Gallo
Ma da qui al 2020 dove lo mettiamo? La risposta ce la dà lo stesso Tusa: nella Regina delle Tonnare, l’Ex stabilimento Florio di Favignana, che dopo il restauro è diventato il centro di un’offerta culturale che ha per temi i tanti aspetti della storia e dell’archeologia mediterranea.
Ex Stabilimento Florio, spazio espositivo
Nello stabilimento si inscatolava il tonno
catturato nella tonnare di Favignana e di Formica. Lo spazio per esporre il nostro relitto certamente non manca: circa trentaduemila metri quadrati di cui oltre tre quarti di superfici coperte con una serie di corti e spazi e ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso.
Giusto il tempo di superare gli intralci burocratici e sicuramente entro l’anno i nostri preziosi pezzi di legno partiranno da Salerno per Favignana. Parola della Soprintendenza del Mare. Ci dobbiamo credere?

Quello che segue è il breve racconto, con la collaborazione di Giovanni Gallo, di come sono stati recuperati e restaurati i settecento “pezzi di legni”.
Salerno, Giovanni Gallo
Sono quel che resta della grande nave oneraria romana lunga più di venti metri e larga nove naufragata il terzo secolo d. C. e individuata casualmente nel 1999 nelle acque basse del mare di Marausa, poco distante da Trapani. Un ritrovamento eccezionale sia per le dimensioni sia perché era a “portata di mano”, alla profondità di non più di due metri e a pochi passi dalla spiaggia, e per ultimo era in ottimo stato di conservazione perché ricoperto da una spessa coltre di matta di posidonia che per secoli, crescendovi sopra, aveva sigillato il sito e ne aveva permesso la conservazione, proteggendo nello stesso tempo dall’erosione la linea di costa e quei bassi fondali. Queste le circostanze che hanno restituito il relitto, sul fondale era aperto come un libro, ben conservato soprattutto nella parte centrale, mentre non lo erano molte ordinate e il fasciame esterno aggrediti dalla teredine (Teredo navalis). 
Nella prima fase fu recuperato quel che rimaneva del carico composto principalmente da anfore, alcune delle quali avevano il rivestimento interno di pece ed erano, pertanto, adibite al trasporto di vino o di salsa di pesce (a giudicare anche dal rinvenimento di numerose ossa di palamito nel deposito). Altre prive di rivestimento potevano essere state utilizzate per trasportare olio ed altre mercanzie. Infatti una parte consistente del carico era composto da olive, pinoli, nocciole, mandorle, noci, pesche, pigne, fichi secchi e frutta secca evidentemente contenuti nelle anfore. Erano presenti anche resti della cambusa di bordo in forma di ossa e denti animali (mammiferi domestici e pesce).
Preparazione del fotoplano
Il lavoro di recupero vero e proprio, iniziato il 22 agosto del 2011, fu affidato alla direzione di Giovanni Gallo che mise in campo una squadra perfetta, una sinergia mai messa in campo: archeologi e restauratori insieme per un recupero, in mare, per “smontare” i resti dello scafo. Sulla riva la struttura di sollevamento, catalogazione e recupero, da qui partivano i binari che arrivavano al relitto, il carrello con i legni li percorreva movimentato da funi e da ogni marchingegno per permettere il recupero e la conservazione.
Il nove settembre Il relitto è stato liberato dal carico e dalla sabbia che lo ricopriva; due giorni sono serviti per il rilievo e il fotopiano
L’undici settembre il primo pezzo di legno è riemerso, poi, legno dopo legno, i 700 pezzi sono stati catalogati.
Il due ottobre il recupero della chiglia, un pezzo unico lungo dieci metri e mezzo, è stato il più delicato. Questo è il racconto dei protagonisti: “come ogni mattina, siamo scesi in acqua, solo la chiglia si doveva recuperare, ci è voluta l’intera giornata, alle 19 finalmente il serpente di legno ha lasciato il suo letto di sabbia, Sanna, Scardino e Tiboni lo portano a galla, immediatamente noi dalla riva ci immergiamo per aiutarli, la chiglia viene poggiata sul carrello e con la massima cautela, considerando la lunghezza e la fragilità del reperto, lo abbiamo portato a pel d’acqua in prossimità della riva, il sole era tramontato e la gente di Marausa che, numerosa, assisteva all’evento dalla spiaggia, posizionarono le auto per illuminarci con i fari, creammo una trave lenticolare che potesse contenere il prezioso reperto senza farlo spezzare, finimmo!
Recupero della chiglia
Erano le 21,30, alzammo tutti le braccia al cielo in segno di vittoria, ci abbracciammo tutti, un applauso parti dalla riva,… lacrime e non più il mare bagnarono i legni, naufragammo nella gioia sorseggiando spumante e assaporando la pasta di mandorle che ci avevano preparato per festeggiare.”
Giovanni Gallo, direttore di Legni e Segni della Memoria spiega nel dettaglio i particolari dei legni recuperati: “Il relitto di Marausa è composto da circa 700 pezzi il più piccolo misura 10cm per 40cm di lunghezza, lo spessore è di 2,5cm, il più grande, la chiglia, ha una sezione di 25cm per 30cm ed è lunga 10,5 metri, il ritrovamento misura 13,13m per 8, la particolarità è il numero rilevante di ordinate: quaranta con una sezione media di 15cm per 15cm, erano talmente tante che quasi si toccavano, infatti, tra un ordinata e l’altra c’è poco più di 10cm, lo spazio per infilare una mano.
Il binario per recupero chiglia
Le essenze fondamentali che caratterizzano il relitto sono il frassino, il pino, il larice e il cedro. Per comprendere il degrado dei legni possiamo far riferimento al MCW%, questo valore indica il rapporto tra il peso del legno e il peso dell’acqua che contiene, più acqua c’è più elevato è il valore maggiore è il degrado, nel nostro caso si va dal 326% dell’ordinata in Larice (medio degrado) al 826% dell’ordinata in Frassino (elevato degrado). La chiglia è in pino ed ha un MCW% pari a 375.
I legni, si sa, sono la memoria dell’albero che era, altresì, il loro accrescimento è in stretta relazione con il luogo e il tempo di “esistenza”, tutti sappiamo che, alle nostre latitudini, gli alberi sono caratterizzati da anelli di accrescimento; se li contiamo sappiamo gli anni di vita, se ne misuriamo l’ampiezza consideriamo le condizioni metereologiche, anelli molto ampi si hanno negli anni con molta pioggia, anelli stretti dipendono da anni di relativa siccità, la sequenza dell’ampiezza di più anelli permette, con l’ausilio di dati di archivio, di collocare il singolo pezzo di legno in luoghi e epoche proprie: affascinante! 
Le ordinate
Nel nostro caso oltre alla dendrocronologia è stato effettuato il prelievo per l’esame al radiocarbonio, Il metodo del Carbonio14 permette di datare materiali di origine organica (ossa, legno, fibre tessili, semi, carboni di legno, ...). Si tratta di una datazione assoluta, vale a dire in anni calendariali, ed è utilizzabile per materiali di età compresa tra i 50.000 e i 100 anni. La sua principale utilizzazione è in archeologia per datare i reperti costituiti da materia organica, quindi contenenti atomi di carbonio. La chicca, nel nostro caso è che abbiamo prelevato tre campioni a distanza di tempo nota, infatti, conteggiando gli anelli di accrescimento abbiamo prelevato tre campioni a distanza di 20 anni l’uno dall’altro, l’incrocio dei dati tra il Carbonio14  e dendrocronologici ci permetterà di avere una maggiore precisione ed una più probabile determinazione delle poca di appartenenza dei legni. Gli esami sono condotti da Olivia Pignatelli e Nicoletta Martinelli del laboratorio Dendrodata di Verona, a breve conosceremo i risultati.
Salerno, Legni e Segni: Vasca per l’impregnazione
I legni impregnati ed essiccati sono pronti per essere montati, come protettivo si è usata la cera d’api in essenza di trementina, il profumo è soave e pervade tutto il laboratorio, l’aspetto è davvero naturale, e piacevole guardarli e soprattutto toccarli.”
L’innovativo e rivoluzionario sistema per il recupero dei legni bagnati legato al sistema di essiccamento che avviene con camere ipobariche funzionanti in sottovuoto messo a punto nel laboratorio salernitano è descritto nel dettaglio nel nostro precedente servizio che abbiamo pubblicato nell’ottobre 2012.