Il ROV ha pescato Egadi 10. Ancora un successo della ricerca altofondale

Egadi 10, questo è il nome che la Soprintendenza del Mare siciliana ha dato all’ultimo rostro disincagliato e imbracato su un fondale di 70 metri dal ROV (Remotely Operated Vehicle) in dotazione della nave R/V Hercules, imbarcazione oceanografica a posizionamento dinamico (DPS) dotata di sistemi di ricognizione elettroacustica e visive di ultima generazione.

A sin: sala controllo, il ROV imbraca Egadi 10


La nave ha realizzato negli ultimi anni, in collaborazione di RPM Nautical Foundation, una minuziosa ricognizione delle acque dell’arcipelago delle Egadi e del trapanese. Ininterrottamente, dal 2005 ad oggi, le acque antistanti le tre isole dell’Arcipelago delle Egadi sono state analizzate sistematicamente.
Egadi 10 issato a bordo
Con la campagna, iniziata a giugno e che si concluderà alla metà di luglio, è stato individuato e localizzato un altro rostro, che presto si porterà in superficie.
Così il totale dei rostri del tipo a tridente rinvenuti tra il 2004 ed il 2014  nel medesimo sito sale a 11: di cui uno sequestrato dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, un secondo incappato nella rete di una strascicante dell'armatore trapanese Mario Maltese, tutti gli altri frutto della campagna di ricerche in altofondale Archeoegadi condotta grazie alla collaborazione con la fondazione americana RPM. Egadi 10, anche lui a tridente come tutti gli altri, si trova in buone condizioni e presenta numerosi chiodi e al suo interno delle parti in legno.
È riemerso  dall’area di mare a circa 7 km ad Ovest dell’isola di Levanzo (arcipelago delle Egadi) dove avvenne la Battaglia delle Egadi (10 marzo del 241 a.C.) tra la flotta cartaginese guidata da Annone e quella romana guidata da Lutazio Catulo. Quasi del tutto integro, è formato da un pezzo in bronzo, unitariamente fuso con la tecnica della cera persa, che si andava ad inserire sull'intersezione delle porzioni terminali in legno della chiglia, delle cinte laterali e della struttura arcata del dritto di prua.

A sn: particolare della decorazione

È identificabile come romano grazie al confronto con i rostri Egadi 7 ed 8 recuperati nel 2012: nonostante le concrezioni marine assai diffuse, è ben visibile la decorazione a rilievo raffigurante un elmo del tipo montefortino sormontato da tre piume. Al di sotto della decorazione probabilmente si nasconde l'iscrizione latina con la certificazione da parte del questore, ma solo il restauro – che a breve inizierà nei laboratori del CAM di Triscina di Selinunte messi a disposizione dalla Fondazione Kepha – potrà rivelare la sua identità.
Nave Hercules
Alle operazioni hanno partecipato George Robb e Jeffrey Royal della RPM Nautical Foundation con tutto lo staff della nave Hercules e Adriana Fresina, Francesca Oliveri e Salvo Emma della Soprintendenza del Mare. La campagna di ricerche Archeoegadi è effettuata in collaborazione con la Capitaneria di Porto di Trapani, la Guardia di Finanza, l’Area Marina Protetta delle Isole Egadi, la Shipping Agency di Luigi Morana, la marineria, i diving center, l’Associazione Culturale Tempo Reale e gli amici locali che a vario titolo prestano la loro professionalità.

Il contesto storico-archeologico della battaglia delle Egadi

Il teatro della battaglia delle Egadi
Delle grandi battaglie dell’antichità quella che più di ogni altra ha avuto l’onore della cronaca per le interessanti scoperte archeologiche subacquee a essa attribuibili è quella delle Egadi. Il 10 marzo 241 a.C. un forte libeccio soffia sulla cuspide occidentale della Sicilia foriero di un epocale cambiamento politico per l’isola e per l’intero Mediterraneo facendo intravedere austera e vincente la fisionomia di Roma. La battaglia delle Egadi descritta da Polibio e da molti altri storici antichi conclude la lunga prima guerra punica grazie ad una svolta impressa dall’audace ammiraglio Lutazio Catulo che sblocca una situazione di stallo nella quale i due contendenti si erano trovati da tempo. I luoghi d’interesse archeologico pertinenti la battaglia si trovano lungo la costa rocciosa orientale dell’isola di Levanzo che si presenta ripida e omogenea tra la Cala Calcara e Capo Grosso fornendo un prezioso rifugio alla flotta romana invisibile a quella cartaginese che proveniva da Occidente (Marettimo). L’omogeneità costiera si trasferisce anche ai fondali che si presentano degradanti e rocciosi fino a raggiungere la spianata sabbiosa intorno ai cinquanta metri.
Rostro romano con fregio vittoria aòata
Tuttavia, in prossimità del limite meridionale e settentrionale di questa scogliera il fondale si articola ed è lì che ancora resistono le vestigia romane in parte attribuibili alla battaglia delle Egadi e in particolare alla zona di ancoraggio della flotta romana di Lutazio Catulo che sconfisse i Cartaginesi. Vi sono, infatti, numerosi ceppi d’ancora in piombo, localizzati sui fondali rocciosi degradanti verso Nord, compresi tra i 20 ed i 30 metri (in un’area di oltre 500 metri quadri), a circa 100 metri dalla costa nello spazio di mare a ridosso della punta più settentrionale di Levanzo, caratterizzata dall’incombente mole di Capo Grosso a picco sul mare. I veri protagonisti di quel mortale attacco dovettero essere i rostri applicati alle trireme, nave da guerra tra le più diffuse nell’antichità dall’epoca greca arcaica, di probabile derivazione dalla pentecontera e progenitrice delle galere medievali e moderne. Si diffuse tra i Greci, i Fenici, i Cartaginesi e infine anche presso i Romani.
Fregio vittoria alata
Tre file di rematori sovrapposte, con i remi leggermente sfalsati tra loro, le davano una formidabile propulsione in battaglia agevolata anche dallo scafo filante con un rapporto lunghezza /larghezza ottimale che poteva raggiungere anche i 40 x 6 metri. Poteva navigare anche sospinta da una vela rettangolare. L’equipaggio nelle trireme più grandi poteva raggiungere i 200 uomini, di cui la maggior parte rematori e il resto fanti, arcieri e addetti la governo della nave. Era molto manovrabile e veloce raggiungendo anche gli 8 nodi. La sua arma letale era il rostro a tre fendenti taglienti e contundenti che si allungava a prua sul pelo dell’acqua. La trireme, lanciata a velocità sulle navi nemiche, determinava con il colpo del rostro squarci letale nelle navi nemiche o ne annullava la forza distruggendo le file di remi e le relative fiancate.
Elmo di tipo monterfortino
Da quando la Soprintendenza del Mare ha intensificato le ricerche nell’area della battaglia sono venuti fuori ben undici rostri a tridente diversi da quelli descritti dalla Frost, che hanno offerto la prova dell’esattezza del luogo dello scontro indicato nell’area a Nord di Capo Grosso di Levanzo. I rostri s’inserivano, coprendola, sull’intersezione di alcuni elementi lignei convergenti che erano il dritto di prua, la chiglia e le cinte basse. Erano assicurati alla parte lignea dello scafo mediante chiodi. La parte anteriore del rostro era costituita da ben tre fendenti laminari orizzontali rinforzati da un possente fendente verticale. Con questo micidiale multiplo fendente, scagliato con forza sulle fiancate delle navi nemiche, la nave da guerra dotata del rostro determinava l’ingovernabilità e l’affondamento di quella nemica grazie alle falle che generava.

Tutte le fotografie sono di Salvo Emma, Soprintendenza del Mare Regione Sicilia