Incidit in Scillam qui vult vitare Charybdim: naufragare è un attimo… Il racconto di Roberto Soldatini
Tra Scilla e Cariddi ha rischiato il
naufragio dopo più di centoventi giorni in giro per l’Egeo e oltre duemila
miglia nautiche percorse con il suo Denecia II, un Moody 44 in vetroresina
armato a sloop-cutter e vecchio di quindici anni. Il nostro navigatore
solitario, il violoncellista, compositore e direttore d’orchestra che di nome
fa Roberto e Soldatini di cognome, sulla rotta di ritorno dalla Grecia se l’è
vista proprio brutta.
Roberto ve lo abbiamo presentato nel giugno2012. Se nella sezione cerca del nostro magazine digitate il suo nome,
troverete ben cinque pagine con l’elenco dei servizi che gli abbiamo dedicato
con i suoi diari titolati “Andar per isole nel mare Egeo”.
Ha iniziato a navigare in solitario a zonzo
per l’Egeo nel 2011 e questo è il terzo anno di esperienze, totalizzando ben
diecimila miglia con un totale di 12 mesi di navigazione da solo. Un bel
record…
Cosa gli sia capitato tra sabato 28 e
domenica 29 settembre, quando in prossimità di Scilla il motore lo ha piantato
è lui stesso a raccontarlo.
Nella foto in alto Denecia II
in avaria ormeggiata a Scilla alla boa dei
fratelli Arena
A Scilla, un paese sospeso nel tempo, esistono
ancora persone così:
Sulla rotta del ritorno dalla Grecia, da
Roccella Ionica risalendo la Calabria e passando nello Stretto di Sicilia,
ahimè non ci sono che i porti di Reggio Calabria da una parte e Messina dall’altra,
non ci sono approdi intermedi. Li detesto entrambi, cari e brutti. Però ho
trovato un’alternativa: Scilla, un bellissimo approdo, ma non sempre
praticabile. L’ormeggio è alla boa e quindi si deve essere sicuri che le
condizioni di vento e mare lo permettano (mai se vengono da ovest o da nord).
Da Roccella Ionica è ben più distante dei due porti citati, quindi partenza
prima dell’alba. Durante tutta la giornata niente vento, sono tornato in
Italia: ricominciano le “smotorate”.
Motore... motore... motore... motore
Motore si ferma...
Gli scogli sono vicini, troppo vicini... Niente
vento per alzare le vele e allontanarmi... Niente che possa frenare: corrente e
onde spingono Denecia verso la costa rocciosa... Niente fondale che mi permetta
di dare fondo all’ancora... Gli scogli si avvicinano sempre di più...
Naufragare è un attimo...
Scilla e Cariddi. Incidit in Scillam qui vult
vitare Charybdim, cade nelle grinfie di Scilla chi vuole evitare Cariddi... È
proprio vero. Ai tempi di Ulisse come ora.
A ds. Il campo boe dei fratelli Arena visto dal
castello, Denecia II è l’unica barca a vela di passaggio a Scilla fuori
stagione.
Sono a poco meno di un miglio da Scilla, nella
sfortuna una prima fortuna: chiamo i fratelli Arena che gestiscono le boe, ne
ho prenotata una per questa sera, Giovanni arriva con un gommone, mi spinge da
poppa, procedendo a due nodi mi allontana dagli scogli e mi porta ad ormeggiare
alla boa.
Seconda fortuna: l’indomani Giovanni deve
immergersi con le bombole per levare le boe perché il trenta settembre scade la
concessione stagionale e può verificare la prima ipotesi: busta risucchiata
dalla presa a mare, essendo andata la temperatura dell’acqua in ebollizione
rapidamente prima che si spegnesse il motore.
Dalla strada principale di Scilla si aprono vicoli digradanti
verso il mare, nei quali è sempre incastrata una barca da pesca, sì perché
Scilla conserva la sua tradizione marinara.
Terza fortuna: nel paese ci sono due meccanici,
domani è domenica, ma abitualmente passano dal porticciolo per dare un’occhiata
alle loro barche da pesca, molto probabilmente uno di loro potrà venire a
vedere cosa è successo.
Intanto mi consolo con il ristorante che avevo
già sperimentato nella sosta all’andata, Antrois,
e rimango in famiglia: è dei cugini dei fratelli Arena che mi hanno aiutato.
Il pesce è quello pescato dallo zio, più “chilometro zero” di così sarà
difficile: le spadare, le tipiche barche per la pesca del pesce spada,
sono ormeggiate proprio all’interno del piccolo porticciolo di Scilla.
La mattina, ancora prima di
alzarmi, apro le tendine dell’oblò di poppa che si trova dietro al letto: il
piccolo paesino è illuminato dalla luce obliqua del mattino e passa una
barchetta con due anziani pescatori, uno che rema e l’altro che scandaglia il
fondo, poi mentre
faccio colazione vedo Giovanni infilarsi la muta e appena ha finito di
smantellare le boe viene verso la mia barca: nessuna busta attaccata alla presa
a mare... Tuttavia riesce a risolvere un altro problema: stura lo scarico del
pozzetto sparando l’aria delle bombole da sotto. Pochi minuti dopo arriva il
meccanico, Alfredo, capelli bianchi, sui sessant’anni, cosa che mi rassicura
sulla sua esperienza. Analizza il motore e poi va a colpo sicuro, smonta la
pompa dell’acqua di mare e trova che è sboccolata.
Lo spettacolo che si apre davanti ai miei occhi come il sipario su una splendida scenografia teatrale: il paesino illuminato che sembra un presepe, arroccato sopra al pozzetto di Denecia.
Quarta fortuna: Alfredo ha un cantiere, che
porta il nome della famiglia, Florio, porta lì il pezzo, lo sistema e domani
mattina, lunedì, me lo rimonta.
Non mi rimane che utilizzare uno degli ultimi
“giorni cuscinetto” programmati per la rotta del ritorno e godermi Scilla, un
posto davvero gradevole dove essere “costretti” a rimanere. Dalla strada
principale, poco più di un vicolo, si aprono dei suggestivi squarci di mare, e
molte case del paese vi si affacciano, le più suggestive sono quelle che
poggiano sugli scogli, ad una di esse un signore sul suo terrazzo pesca con la
canna, in attesa di un pescetto che dia un po’ di sapore alla cena. Molte sono
da restaurare, abitate da vecchietti, alcune addirittura in stato di abbandono.
Il castello invece è ben restaurato e curato, il panorama che si gode da quassù
è notevole, lo Stretto, le spiagge di Scilla pressoché deserte e Denecia
ormeggiata alla boa, da sola.
Al museo del castello è conservato il “luntre”, una
barca da pesca per il pesce spada degli anni Quaranta e dei modellini delle
altre tipologie di caratteristiche barche da lavoro, utili per dare un nome e
un’immagine a ciò che è confluito disordinatamente nella mia memoria di novello
marinaio.
Quinta fortuna: mentre sono sdraiato in pozzetto
a riposare vedo arrivare Alfredo sul gommone: ha lavorato di domenica per farmi
partire perché lunedì è prevista burrasca da ovest e il porto di Scilla diventa
impraticabile. Mi monta la pompa dell’acqua accendo il motore e... funziona!
Non mi rimane che mollare la boa e fare rotta per Tropea, partendo alle 17,
arriverò verso le 22.
Sesta fortuna: ho solo trenta euro nel
portafoglio, chiedo per un bancomat perché immagino di dovere pagare
l’assistenza con il gommone oltre all’ormeggio, così Rocco, uno dei fratelli
Arena, mi accompagna con la sua macchina perché l’unico sportello è al paese alto.
“Un’inutil precauzione”: mi fa pagare solo la boa, venti euro! Rocco mi ha
accompagnato solo per non farmi stare senza soldi quando arriverò di notte a
Tropea, non perché servivano per pagarlo...
Tutte queste fortune si chiamano cantiere Florio
e soprattutto famiglia Arena: i fratelli Giovanni, Giuseppe, Rocco svolgono
questa attività da vent’anni, continuando quella che ha intrapreso il nonno
cinquant’anni fa, gestire le boe di ormeggio nel porto di Scilla con un sistema
che potremmo chiamare ecologico: ogni anno ad aprile sistemano le catenarie sul
fondo abbracciando gli scogli, poi a fine settembre smontano tutto, continuando
infaticabili a svolgere anche altre attività, come Giovanni che lavora sui
traghetti dello Stretto.
Vorrebbero ampliare l’attività, migliorare i servizi,
ma al momento le possibilità non ci sono. Persone meravigliose che sembrano
avere fatto propria la raccomandazione di Seneca: Dovremmo darci agli altri con la stessa
dedizione che vorremmo fosse usata con noi, con gioia e senza esitazione. In
loro sopravvive quel senso del sociale che fino a qualche anno fa
caratterizzava la gente del nostro Paese e che troppo spesso, soprattutto nelle
grandi città, ci ritroviamo a rimpiangere.
Roberto Soldatini