Catch & Release: vivi e lascia vivere

La pesca sportiva e ricreativa, sempre più caratterizzata da un criterio di responsabile rispetto per l’ambiente, sta oggi vivendo nuove interpretazioni, e fra queste cresce la tendenza a rilasciare le proprie prede, ovviamente quando possibile e consigliabile. Così come spiega Stefano Navarrini in questo articolo apparso sul mensile Nautica. Sue anche le fotografie.

Pesce grande, come noto, mangia pesce piccolo. Ci vorrebbe forse un po’ più di rispetto nell’utilizzare questo apparentemente banale aforismo, perché dietro un’apparente  metafora si nasconde la storia stessa della vita: un lungo percorso che dalla prima cellula a quel sofisticato organismo che è sicuramente l’Homo oggi considerato (forse a torto) sapiens, si è evoluto unicamente nel nome di questa legge. Perché mettetela come vi pare, che siano polli e maiali invece di spigole e sardine, o che nel nostro caso l’intelligenza abbia preso il posto delle dimensioni riproponendo il confronto in modo meno selvaggio e  cruento, resta il fatto che ancor oggi per nutrirsi qualunque essere vivente  deve sopraffarne altri, nel pieno rispetto delle leggi naturali, e con buona pace dei più accesi vegetariani, perché di sola erba non si campa (meno che mai a fumarla).
Anche se l’abbiamo presa un po’ alla lontana, con questo pseudofilosofico prologo abbiamo voluto semplicemente ricordare che esistono sport, come la pesca sportiva e ricreativa, che comportano l’uccisione di un altro essere vivente, ma che al di fuori di ogni ipocrisia e in considerazione di tutto ciò che offrono i banchi del supermercato, non c’è niente di anomalo in questo, purché nel rispetto di una doverosa etica sportiva e delle normative in atto. E l’etica prevede che ciò che catturiamo passi dai silenzi del mare alla gioia della nostra tavola, considerando che se per lui, il pesce,  essere comprato in pescheria o pescato in mare fa poca differenza, per noi invece di differenza ne fa molta. Perché le emozioni che regala un'attività che ci lega in modo così profondo alla natura sono straordinarie; perché il rapporto che si crea fra preda e predatore, senza scomodare Hemingway, è qualcosa che si insinua nel più profondo della nostra anima; e perché, in termini più prosaici, catturare un pesce per la gioia della propria tavola è una soddisfazione intima e profonda.
Se tutto questo non fa una piega, è però anche vero che nei confronti di un pesce che ha messo a dura prova la nostra abilità, le nostre attrezzature, e in molti casi anche le nostre forze fisiche come può accadere nel big game, può nascere una profonda empatia. Il paradosso per il quale nessuno ama un pesce più di colui che l’ha pescato, ha fatto nascere in questi ultimi anni una nuova tendenza, che ben radicata oltre Atlantico è ormai molto seguita anche nei nostri mari. Rilasciare la propria preda ormai vinta e portata sottobordo, o per dirla nel suo termine originale  praticare il catch&release, è un modo per rendere l’onore delle armi al nostro avversario, ma è anche un modo per aiutare l’ambiente riducendo ulteriormente il pur minimo impatto ambientale imputabile alla pesca sportiva e ricreativa. Se questa terminologia può sembrare un po’ pedante ai non addetti ai lavori, ricordiamo che si tratta di una denominazione voluta a livello U.E., e che distingue la pesca agonistica da quella puramente dilettantistica. Il che, tornando al tema del Catch&Release (che semplificheremo come C&R), ci consente di ricordare come la FIPSAS, la Federazione che gestisce la pesca a livello agonistico, abbia da anni applicato la norma di rilasciare le prede catturate in molte specialità, ed in particolare nel big game al tonno rosso.

Senza indulgere in un esagerato buonismo, è anche giusto ricordare che nei principali hot-spot mondiali la pesca dei rostrati, è tassativamente soggetta al C&R. Certo per una forma di rispetto verso questi splendidi pesci, ma anche per una questione squisitamente commerciale visto che per gli operatori del settore, charter di pesca in primis, marlin e pesci vela sono il pane quotidiano. Del resto sono stati proprio gli americani a creare il motto simbolo del C&R, quando affermano che “un pesce è un bene troppo prezioso per essere pescato una sola volta”.  Al contrario va letta un’aberrazione normativa, assurda pur se in qualche modo comprensibile. Nel senso che il rilascio di un pesce di peso dichiaratamente inferiore a quello della taglia minima ammessa dalla legge, o peggio di una specie protetta (come stagionalmente è ad esempio il tonno rosso), è in pratica obbligatorio anche se la preda arriva sottobordo in condizioni estremamente precarie, se non addirittura già defunta. Apparentemente è un controsenso, in realtà impedisce escamotage facilmente intuibili, considerando anche che le sanzioni in questi casi sono molto severe.
Il concetto di rilasciare una preda allamata, combattuta e vinta, è in primis una libera scelta del pescatore, ma è anche un atto di rispetto verso il mare e verso quelle specie in sofferenza biologica come, ad esempio, il tonno rosso. In alcune situazioni, poi, come nel caso di un pesce sotto taglia o di una specie stagionalmente protetta, è anche un obbligo di legge. E’ però chiaro che se il concetto base è quello di rilasciare un pesce perché torni a vivere nel suo mare, le operazioni di manipolazione, di slamatura, e di rimessa in acqua devono rispondere a regole precise.

In primo luogo vale la pena ricordare che non tutti i pesci possono essere rilasciati. Non possono esserlo quelli che a causa di un combattimento troppo duro e stressante, e magari feriti, non sono fisicamente in grado di riprendere il mare, e non possono esserlo quelli che per le loro caratteristiche fisiche pagano l’azione barotraumatica dovuta ad un recupero troppo rapido da forti profondità. Tipico è il caso delle grandi cernie di profondità, che pescate con i mulinelli elettrici su fondali di 4-500 metri arrivano a galla con la vescica natatoria dilatata, ma anche dei dentici  (e di molti altri pesci) nei quali la risalita troppo rapida anche da fondali molto più bassi, e la conseguente espansione della vescica, provoca l’estroflessione dello stomaco dalla bocca. Se caso delle cernie la via della sfilettatura è inevitabile, oltre che gradita, nel secondo i forzati del C&R possono concretamente intervenire. E’ infatti possibile forare la vescica con un ago, o con uno speciale accessorio, per sgonfiarla senza particolari traumi per il pesce, che può essere poi tranquillamente rilasciato. A sottolineare l’importanza e l’efficacia di questo intervento vale la pena ricordare che nel Golfo del Messico, una delle aree più pescose dei Caraibi, la disponibilità di un “Vent-Fish”a bordo di ogni imbarcazione che pratichi pesca ricreativa, è obbligatorio. Nel caso di alcune catture tipiche dei nostri mari, ed in particolare dei dentici, il problema può essere aggirato recuperando la preda con una certa lentezza, eventualmente effettuando anche delle pause durante la risalita, in modo che il pesce possa adattarsi al cambiamento di pressione senza subire traumi.
Oltre all’uso preventivo di attrezzature sovradimensionate, per ridurre il tempo di recupero e minimizzare lo stress per la nostra preda, le premesse di un buon rilascio consigliano anche l’uso di “circle hook”, ovvero di ami semicircolari che per il tipo di allamata creano meno danni al pesce consentendo una facile slamatura, o meglio ancora di ami privi di ardiglioni o con gli stessi leggermente schiacciati. Sconsigliabili ai fini di un successivo rilascio, invece, l’uso di ancorette e ami doppi.

Stefano Navarrini
La liberazione vera e propria della preda può essere effettuata direttamente in acqua, il che a seconda delle dimensioni (quelle della preda ma anche quelle della barca) è a volte obbligatorio, oppure a bordo. In questo caso sarà importante maneggiarla solo indossando dei guanti, in modo non solo da garantire una miglior presa sull’animale evitando che magari scivoli di mano ferendosi, ma soprattutto evitando il contatto delle mani nude, che per l’elevata temperatura del nostro corpo potrebbero lesionare il pesce asportando il prezioso muco che costituisce la difesa biologica della sua epidermide. In alternativa è almeno importante avere le mani bagnate, o proteggere il pesce con un asciugamano bagnato, mentre può risultare utile l’uso di un “boca-grip” che consente di afferrarlo per la mascella senza arrecargli danni. Attenzione però, sia con l’uso del boca che maneggiando la preda a mani nude, a non tenere mai un pesce in posizione verticale perché, soprattutto se di grosse dimensioni, questa posizione potrebbe lesionare i suoi organi interni.
Nel ridare la libertà alla propria preda c’è sicuramente un intima soddisfazione spirituale, legata al rispetto per il mare e per le sue creature, ma  il C&R non deve snaturare il senso della pesca, che nel soddisfare il più antico e vitale dei nostri istinti vuole che la cattura della preda sia totale, e che dopo aver soddisfatto l’anima porti gioia anche alla nostra tavola nel pieno rispetto dell’ancestrale rapporto fra l’uomo e la natura. La scelta resta quindi affidata alla propria sensibilità personale, magari tenendo il primo pesce per la cena, e rilasciando poi le altre catture, con la speranza di ritrovarle in futuro con qualche chilo in più. Chiaro che questa scelta sarà più facile per chi nel proprio curriculum vanta già centinaia di catture, mentre rilasciare un dentice di sei chili sarà certamente più difficile per chi fino al giorno prima aveva preso solo sgombri e perchie.
La pesca sportiva e ricreativa resta un modo per vivere il mare e non per distruggerlo, ci offre un magico mix di sensazioni che legano i nostri più ancestrali istinti al contatto diretto con la natura, non escluso l’arricchimento della cambusa di bordo, e pur nell’ottica di un mare sempre più diverso e sempre più regolamentato resta sempre un’inesauribile fonte di emozioni.

Lo “sgonfiature”
Soggetto durante un recupero troppo rapido a forti sbalzi di pressione, un pesce può non essere in grado di adattare alla conseguente dilatazione volumetrica la propria vescica natatoria, rendendo poi difficile un eventuale rilascio. Il problema può essere facilmente risolto forando la vescica, cosa che può essere al limite fatta anche con un coltello ben appuntito, ma che risulta assai più facile con un apposito accessorio prodotto in diverse versioni che oltre Atlantico, dove in molti stati è obbligatorio averlo a bordo, viene definito “venting tool”. Una di queste versioni è il “Ventafish”, un oggetto di piccole dimensioni e del costo approssimativo di una quindicina di dollari, acquistabile in rete, che in fondo non è altro che una grossa siringa dotata di un ago ipodermico in acciaio inox. Studiato in primis per la sicurezza dell’utilizzatore (’ago può essere estratto dal contenitore solo con la pressione di una piccola asta che, essendo dotata di molla, lo riporta in posizione di sicurezza appena riciata), il Ventafish favorisce con la sua forma l’appoggio a 45° sul corpo del pesce per un appropriato puntamento dell’ago, che va fatto inserendolo sotto le squame a 3-5cm dalla base della pinna pettorale.

Rilasci difficili
Non sempre rilasciare un pesce è cosa semplice. Con prede di grossa taglia, come tonni e grandi ricciole che arrivano sottobordo spesso stressati da un lungo combattimento, il rilascio in acqua è senz’altro consigliabile. In questo caso, a seconda dello stato del pesce, si può tentare in primis una slamatura, ma se la cosa dovesse presentarsi complessa meglio tagliare il filo il più possibile vicino all’amo, che se scelto di tipologia adatta, si corroderà rapidamente senza danneggiare il pesce. Prima di rilasciare del tutto la preda sarà però importante aiutarla a riprendersi favorendone l’ossigenazione. Se le dimensioni non sono eccessive basterà muovere il pesce avanti e indietro, favorendo la circolazione dell’acqua fra le branchie, altrimenti lo si potrà trainare con  i motori al minimo finché non lo si vedrà riprendere vivacità.