Il Mare di Paolo Curto con la M maiuscola

È la mia foto più famosa, ricorda Paolo Curto, fatta nel 1976, ed è stata pubblicata, sempre a doppia pagina, da quasi tutte le più importanti riviste del mondo, oltre che usata parecchie volte in pubblicità. Oggi non avrebbe avuto tanto successo, perché col computer si può manipolare qualsiasi cosa e non sarebbe stata considerata autentica. Per realizzarla, ho dovuto aspettare ad oltranza e per tre mesi il momento giusto all’isola di Madeira. Dopo parecchie inutili uscite in mare, siamo riusciti ad immergerci con una ventina di capodogli in pieno oceano, con 4000 metri di fondo. Eravamo, io e l’altro operatore subacqueo (quello che compare in foto), probabilmente i primi a trovarci in acqua  con i capodogli che allora non si sapeva se fossero pericolosi o meno. E’ stata un’avventura emozionante, con l’adrenalina al massimo, nel corso della quale ci siamo trovati alle prese anche con le verdesche oceaniche. Ogni tanto un capodoglio scendeva in verticale a cacciare nelle profondità e noi, intenti a riprendere gli altri spermaceti, ce ne dimenticavamo. Quando, dopo mezz’ora o più, la terrificante massa del cetaceo cominciava ad apparire dal fondo, prima di capire cosa fosse, avevamo il tempo di prenderci un bello spavento. Nonostante ciò, per nulla al mondo avremmo rinunciato a quell’entusiasmante esperienza.
Nel DNA di Paolo Curto il Mare, con la M maiuscola, evidentemente ha una presenza dominante, come è dimostrato con la straordinaria fotografia del capodoglio che ha scattato agli inizi della sua carrierra di fotografo. Il Mare lo ha da sempre raccontato, prima con disegni a china o a matita poi con la pittura a olio, e soprattutto con la fotografia per approdare infine alla scrittura con il suo romanzo I portali del tempo, che lui stesso presenterà in libreria alle 18.30 del prossimo mercoledì.
Paolo Curto
Paolo con la fotografia ha iniziato a metà degli anni sessanta collaborando con la rivista Mondo Sommerso ( era stato il primo a fotografare lo squalo elefante nel suo ambiente, scoprendo anche il periodo esatto della sua migrazione annuale presso le coste di Alghero) per la quale ha realizzato tantissimi servizi. Ha imposto i primi reportages subacquei senza esibizione di prede, molto in voga negli anni Sessanta e i primi  Settanta, superando non pochi  problemi con gli sponsor. Ha vinto due stelle d’oro al Premio Maurizio Sarra e, insieme a Mario Zucchi (poi risultato vincitore), rappresentò l’Italia al primo campionato del mondo di fotografia subacquea estemporanea.
Paolo Curto
Presi contatti  anche con altre riviste, si è messo a girare il mondo ovunque ci fosse mare, dalla Grande Barriera australiana, alla Nuova Guinea, la Melanesia, la Micronesia, le isole dell’Oceano Indiano, le coste peruviane (dove ha realizzato un reportage sull’industria della pesca, imbarcato per settimane su baleniere e pescherecci) e cilene, il Centro e Sud America, il Caribe e l’Africa. A quei tempi era difficile e complicato viaggiare, specialmente nei posti più sperduti del pianeta, i collegamenti erano scarsi. Perciò i suoi viaggi duravano parecchi mesi e talvolta più di un anno, quando si è dedicato  interamente al Pacifico. In più di dieci viaggi per un totale di oltre due anni di tempo, ha girato tutti gli arcipelaghi della Polinesia, comprese le isole più lontane come le Gambier.
Una volta si è recato laggiù unicamente per dipingere il mare e le vahinè. È stato lui a “scoprire” per primo l’Isola di Rurutu, alle Australi, dove vanno a partorire le megattere, e dove oggi tutti vanno a fotografarle. È stato anche il primo italiano a realizzare un servizio sull’Isola di Pasqua (era sul volo inaugurale della Lan Chile, nel marzo 1971).
Si è dedicato alla pubblicità e alla moda sempre il mare come ispirazione. È stato il primo europeo a fare i famosi servizi annuali di costumi da bagno per la rivista americana Sports Illustrated, tutti ambientati in bellissime locations marine con tante strepitose top models.

In omaggio all’accostamento, che lo ha sempre ispirato, della donna con il mare, ha pubblicato il libro fotografico Secret Beaches. Le sue foto e i suoi reportages di carattere marino sono apparsi spesso anche su riviste non settoriali, come Stern, Paris Match, Bunte Illustrierte, Quick, Playboy, Penthouse, Photo, National Geographic, American Photographer e tante altre. Anche le principali riviste italiane, ovviamente: ha avuto tante copertine, per parlare solo di queste, oltre a Mondo Sommerso, anche su Panorama, l’Espresso, Epoca, Class, Gente Viaggi, Tuttoturismo, Weekend, Panorama Travel, PM, L’Europeo, Traveller, Nautica, Aqua, Amica, Grazia.
Anche la sua scelta di vita è stata sempre dedicata al mare: invece di vivere a Milano, Parigi o addirittura a New York, dove aveva idea (scartata) di trasferirsi, coerentemente, ha preferito la Sardegna, per stare sempre a stretto contatto con la natura, perché lui il mare lo deve vedere ogni giorno. Questa decisione di vivere appartato gli ha sicuramente nuociuto, non solo per il lavoro, ma anche dal punto di vista delle relazioni sociali. Però non si è mai pentito, anzi.
La carrellata di fotografie che seguono sono una sintesi estrema dello sterminato archivio di Paolo Curto e sue sono le lunghe didascalie che spiegano come, dove e quando sono state scattate.

La foto è stata realizzata nell’Acquario di Riccione (ovviamente chiuso al pubblico) con una modella danese che, nonostante fosse nordica, soffriva il freddo (si era a inizi di giugno). La difficoltà maggiore in questo genere di immagini è la reazione dei delfini ad una persona estranea: se non la accettano, non collaborano ed è impossibile lavorare. Invece tutti i cetacei si sono innamorati della ragazza, come me del resto, scarrozzandosela beati e anche contendendosela. Io però non sono stato accettato con altrettanto entusiasmo e lo si è visto quando mi sono immerso con la macchina subacquea: i simpatici mammiferi marini mi giravano il flash mordendolo, mi davano delle pacche nel sedere per farmi sloggiare e si mettevano fra me e la modella, nascondendomela: praticamente, mi hanno impedito di scattare le foto che volevo. Al punto che ho anche pensato che fossero gli assistenti dell’acquario travestiti da delfini. Le foto (di superficie) del servizio sono comunque state pubblicate da numerose riviste.


Immagine realizzata alle Maldive con una modella americana con un corpo statuario che ho fatto saltare un numero infinito di volte: ma era un tipo sportivo californiano e se l’è cavata benissimo. Inoltre io scattavo a motore, per cui ho avuto tutte le sequenze dei salti. La difficoltà era che, scattando con 1/2000 di secondo, non disponevo di molta profondità di campo e quindi la ragazza andava spesso fuori fuoco. Anche questa foto è stata pubblicata sia in copertina (Panorama) che utilizzata in pubblicità. Quel che mi ha colpito di questa bellissima modella è che non ha mai letto un libro in vita sua.







 Qui avevo una foto che avevo fatto ad un orso bianco sulla banchisa polare. Mi piaceva il salto in acqua, ma volevo qualcosa di più. Per cui ho preso una modella americana (delle Hawaii) campionessa di tuffi e l’ho fatta tuffare ripetutamente dal trampolino di una piscina di Porto Cervo. Siccome era abbronzata, le ho sbiancato la pelle col Photoshop. La maggiore difficoltà, il lavoro più lungo, è stata sostituire il costume della ragazza con la pelle dell’orso. L’idea infatti era di rappresentare una donna che non solo era sportiva e temeraria al punto di buttarsi con disinvoltura nell’acqua ghiacciata, ma anche coraggiosa per la maniera in cui si procurava i suoi particolari costumi.


Sotto casa mia c’è la spiaggia del Pevero dove ambiento parecchie foto di nudo, soprattutto all’alba o di mattina presto, quando non c’è gente. La modella è norvegese. Perché in controluce risaltino gli spruzzi d’acqua è necessario uno sfondo scuro, in questo caso una macchia di ginepri ancora in ombra che arrivano quasi sul mare. Ovviamente, per ottenere delle belle immagini in movimento, è necessario scattare a raffica, anche perché a volte il viso fa delle smorfie, gli spruzzi non sono soddisfacenti e a volte il nudo è troppo esplicito (la foto in questione era destinata a riviste che si occupano di “beauty”.




A Manihi, in Polinesia c’è un ottimo Diving che ha abituato gli squali a venire a mangiare dalle mani degli istruttori subacquei, per la gioia dei fotografi. Succede così che a volte, fra il subacqueo e la superficie, ci sia uno stuolo di squali da reef che bisogna “bucare” per tornare a bordo. Nonostante la drammatica inquadratura, una situazione del genere è considerata di ordinaria amministrazione e scevra di pericoli, anche se in mare non si sa mai. L’importante è che non ci siano in giro pesci feriti che provocano la frenesia degli squali che, per quanto di dimensioni modeste, se sono in tanti ed eccitati possono essere un problema. Mi è successo con i pescatori polinesiani che pescavano con le “arbaletes”: ad un certo punto gli squali, attirati dai numerosi carangidi arpionati erano diventati così numerosi che siamo dovuti risalire precipitosamente sulle piroghe.


 
Questa l’ho scattata nel momento in cui un orso polare sale su un iceberg. E’ stata realizzata durante un documentario di Bruno Vailati, quando poco si sapeva sul pericolo di trovarsi in acqua insieme a questi possenti predatori. Il regista asseriva che l’orso, poiché non sa compensare, arriva al massimo a cinque metri di profondità, quindi basta fermarsi a sei e si può riprenderlo con tutta calma. Non so se qualcuno ha sperimentato questa azzardata teoria. So solo che una volta che ci siamo trovati in acqua con l’animale ci siamo accorti che il fondo era a poco più di quattro metri. Provate a salire dall’acqua sulla lancia (priva di scaletta) senza togliervi le bombole. Noi, terrorizzati, ci siamo riusciti tutti. Comunque la spedizione è andata bene e di orsi, nel mese che abbiamo costeggiato la banchisa dalle Svalbard fino in Groenlandia, ne abbiamo incontrati parecchi. Quel che impressionava era che, essendo agosto, non c’era mai notte, cosa che ci obbligava a darci degli orari per mangiare e dormire.




Qui avevo solo l’orca fotografata nell’Acquario di Antibes mentre salta per mangiare un pesce offertole da un istruttore sul trampolino. L’assemblaggio dell’immagine finale comprende quattro foto: nell’acqua dell’acquario, c’era riflesso il pubblico, per cui l’ho dovuta sostituire con un mare “vergine”. Poi ho preso una modella rumena in Costa Smeralda, l’ho appesa alla passerella di un cabinato a un metro e mezzo dall’acqua, raccomandandole di guardare in basso con un’espressione di terrore e di alzare le gambe per proteggersele da un fantomatico mostro. Infine, sempre in Sardegna,ho chiesto ad un amico di librarsi a 15 metri da terra col suo elicottero fino a trovare la posizione giusta per la luce. Ho allora usato lo stesso cielo dell’elicottero per inserire con lo scontorno al Photoshop tutto il resto. Ci ho messo dei giorni di pazienza ma mi sono divertito. La foto l’ho messa nella banca d’Immagini TIPS nella speranza di un utilizzo pubblicitario. In effetti, provate ad immaginare, per dire, una compagnia di assicurazione che si rivolge ad ipotetici clienti con uno slogan del tipo: “Sei in difficoltà? Non ti preoccupare, ci pensiamo noi a toglierti dai guai”
Questa è una foto abbastanza semplice. Basta avere una bella modella (americana) che si spogli nuda e andare alla ricerca di una delle numerose lingue di sabbia emerse. I problemi a questo punto sono due: trovare un isolotto di sabbia abbastanza piccolo da sembrare un’isola e avere abbastanza fortuna da trovarne uno scoperto dalla marea nel momento in cui ci serve per la foto. Infatti, proprio a causa delle maree è difficile programmare uno scatto simile che, tecnicamente non presenta altre difficoltà. 


Dipinto, olio su tela, cm. 50x80. Fa parte dei vari cicli polinesiani che hanno caratterizzato alcune mie mostre di pittura. Una volta feci addirittura un viaggio di alcuni mesi con il solo intento di mettermi a dipingere i colori di quelle isole. Era un periodo in cui mi dedicavo anche agli “spaccati” nel mare, in cui si vedeva quel che c’era sotto e sopra l’acqua. Quest’idea ha caratterizzato una particolarità del mio impegno pittorico volto spesso allo studio delle trasparenze del mare: far vedere dalla superficie quel che sta sott’acqua è una cosa molto difficile, le cui difficoltà ho dovuto risolvere pian piano da solo, visto che non mi risultano altri pittori che si siano dedicati a fondo a questa ricerca. Per riuscirci, bisogna conoscere molto bene il mare in tutte le sue sfumature.