Capitani simili a imperatori e armatori come bagasce?

B. Cotrugli
Perché i capitani devono essere simili ad imperatori e gli armatori “venusti come bagasce”?
si chiede Benedetto Cotrugli, mercante, economista e diplomatico, nato a Ragusa di Dalmazia nel 1416, nella sua opera Della Mercatura e del Mercante Perfetto.
Per comprenderlo riportiamo due capitoli, in linea con quei tempi, ma se vogliamo validi anche oggi, di istruzioni e consigli sulla figura professionale e umana del capitano di nave e del padrone di nave o di galea, due figure emblema dei traffici marittimi.
Naturalmente Cotrugli scrive anche i capitoli per gli ufficiali e per l’equipaggio, per i piloti dei porti. Al Padrone, ovvero Armatore, Cotrugli dedica un decalogo comportamentale e, sia per l’uno che per l’altro, riferimenti storici, annotazioni di buon senso, di saper vivere, come rapportarsi con dipendenti e mercanti, una  lettura persino divertente, ironica ma costruttiva, di uno che conosceva gli uomini.
Le grandi navi del rinascimento

All'epoca del Cotrugli, la mercatura era considerata alla stregua di un’arte, e il "Mercante perfetto" era quell'uomo di cultura che – guidato dalla doverosa rettitudine – è così sensibile da interessarsi ai luoghi nei quali opera, sapendone valutare la situazione politica, il diritto e le consuetudini vigenti, al fine di condurre con successo i propri affari. A queste virtù basilari, il mercante deve aggiungere necessariamente una profonda competenza tecnica, complessivamente trattata dal Cotrugli in quest’opera. In particolare, egli descrive analiticamente lo strumento contabile della partita doppia. Era di Ragusa, la quinta repubblica marinara dell’epoca, dove si è sempre parlato in “italiano” e scritto (per i notabili) in latino e in lingua veneziana. Siccome adesso si chiama Dubrovnik e pare che i nuovi “padroni” non conoscano le origini di questa antica città, e il mare Adriatico lo chiamano “il nostro mare”, “nase more”, vogliamo regalargli (ma anche agli italiani malati di esotismo) questo piccolo ma ben scolpito contributo della Storia. Buona lettura!
Decio Lucano

I due capitoli sono accompagnati dalle copertine di alcuni libri per chi voglia approfondire l’argomento. Naturalmente sono tutti nel sito mare.com
                       
Dello Capitanio de mare
Vita e costumi a bordo dei grandi velieri
Capitanio de mare deve essere simile allu imperatore terreste, lo qual come narra Onoxandro De optimo imperatore Vegiecio, et Frontino De re militari deve essere temperato, continente, sobrio, domestico nello magnare, apto alle fatigie, acre et vivo, non avaro, non giovene, patre che agia figlioli, addire apto et ornato, de extimatione predito. Havete vui signori Vindiçiani tanti capitani quanti gentili homini con li quali non dubito facilemente potrestivo domare l’universo mundo o vero mare, non mino che li Romani ficieno la terra. Come disse quello tribuno ad Marco Antonio mostrandoli lu suo corpo insigno de multe cicatriçe: “O imperator, quid hiis tot vulneribus aut huic gladio parum confidimus et in lignis fragilibus, spem habes sine Phenices Aegiptii classe pungent, nobis autem Romanis terram da in qua consuevimus vel vincere hostes vel oppetere”. Veramente in ogni et qualuncha exercitio l’è necessaria longa experientia, et maxime ad quelli li quali hando lo governo in mano. Lo qual non se porria dire più de quello è nella vostra cità de Venetia questa arte de mare, et continuo se patruni et capitanii quasi a cunabulis, in modo che nulla cosa vi mancha che pertengna all’arte; li quali como lu pesce vivete nellu mare, vui de nocte et de giorno speculate l’acqua, navilii et barche. Vui la mattina levandovi non possete camminare si non per acqua; li vostro officii et magistrati repieni de marinari, né se parla nel vostro Palaço et in vostro Rialto si non de marinaria.
Et per consequire perfectione ad vostri figlioli nella arte havete inducto quella consuetudine laudabile che vando vostri gentilhommini iovini balistreri tanti per nave et tanti per galea per assuefarli a cunabulis como commanda Quintiliano De arte oratoria, la qual doctrina sença dubio alcuno observate ad unguem, ch’insino le nutricie vostre sondo marinaresse et vui sete essa marinariça.

Dello Padrone de nave et de galea
Mio figlio sulla galea
 Padrone de nave et de galee, et potissime de nave, per essere meritamente padrone el è necessario che lo habia le infrascripte conditioni. Im prima è de  isogno che scia de bona presentia, venusto et grave come appertene ad collui ch’à de governare li subditi, multo selli conviene che scia venusto nella persona presentia. Questa venustà quasi da natura insita multo haveno in sé li Gienovisi, et veramente loro è proprio et naturale lo patronizare delle navi.
Secundo, l’è di bisogno che lo patrone scia piacievele ad ogni uno, tanto ad  marinari, vivati o mercatanti, et communamente se dicie che bisognia che lo scia come la bagascia, che questa placabilità come vol Tulio sta bene ad magni et magnifici hommini. Tertio bisogna che lo scia eloquente, la qual eloquentia adtrahe multo et alliciscie li hommini ad si, et essendo eloquente sa persuadere et confortare li compagni quando achadenno li tempi ad ciò necessarii. Anchi accadendo sa comparere in iudicio et absolvere sé e la nave da calumnie et calumniatori; sa respondere et replicare ad ogni maneria de giente. Quarto, bisongna ch’el scia pradico tanto nel arte dello mare et etiam in agilibus mundi, ch’el sappia cognoscere sello nauchieri et gli altri marinari sondo sufficienti, et perché ogni perfectione de disciplina compie la sua arte inella pradicha.
Quinto, l’è di bisogno che lo scia sobrio in bevere et in magnare perché la ingluvie dissolve ogni bona operatione – IIII Regum c. XXV: “Nabuçardan princeps destruxit muros Hiru Hierusalem”, et anchi como dicie Iohanne “pinguis venter crassum sensum generat”, et anchi como dicie Onoxandro De optimo imperatore parlando de magistratu:
“Sobrium etiam volo ut rebus maximis vigilare comode possit”. Et anche perché la vita della nave ut plurimum sole essere rustica, et lo padrone se deve adusare de quilli cibi grossi, perché quando gl’intrevene che non poçono havere d’altri cibi, et la natura non essendo adusata, pate lesione et detrimento, et facielemente incorre ad qualche infirmitate. Sexto deve essere participe della nave, non postiço, et in quisto Gienovesi mi pareno observanti, et loro accusano lo stile et lo ordine Venetiano, che raro vel nunquam ando patroni si non postiçi, et lo più delle volte foristeri. Et come nello armare delle galee tanto in guerra quanto in mercantia Veneciani sondo ordinatissimi et egulatissimi, coscì nello mandare le loro navi sondo inordinati, havendo patroni postiçi et marinari et officiali de mille viscovati.
Galee toscane e corsari barbareschi
Laudo multo in questo la consuetudine de Genuesi che li padroni delle loro navi o sondo gintil hommini, o populani Gienuesi, et li marinari et officiali Gienuesi da entro o de fora, in modo che lo patrone à grandissima cura de la nave et de la robba, et quando è ad uno bisogno, sondo tucti de uno animo et un sangue, et per consequens virilmente defende l’uno ad l’altro, et dessero oppressi o vincitori tucti quanti sondo in uno grado, che dove guardi de navi che ando varietà de passioni li hommini de quella.
Septimo deve essere lu patrone de costumata conversatione per atrahere ad sí la brigata, et dico tanti li compagni, quanto vivati o merchanti. Et inde è che l’uno patrone trova al continuo bondoli et inviaminti più ch’el altro, ma el non deve essere tanto facile et humile chesse preste ad ogni uno ch’elli scia despregiato, né tanto acierbo et duro che concita l’odio, adciò che per la grande indulgentia et facilità non faccia dissoluti li soi subditi, o veramente per la austeritate o severitate faccia più aglienati et infesti. Octavo deve essere ad offerire affandi patientissimo, acciò ch’intra gli affanni de marinagio lui scia l’ultimo ad essere fatigato et lapso; sequitalne de questo, quia blandissime iubetur exemplo, et anche vede lo facto suo et è bon adiutatore. Nono, de’ essere lo patrone astuto come lo Castellano,
La navigazione a vela
et advertire de non essere ingandato, come vidi una volta fare; che sendo ad Castelamare una nave de Genuesi, una domenecha essendo lo patrone andato ad odire la missa con la più parte de marinari, uno altro Gienuese andò con alquanti compagni e montò su la nave, et fecie vela, et andosi con Dio, et questo fo nel Anno Domini MCCCCXXXIIII, essendo io a Napoli, donne aviene all’incanti che oltra allo dando li ne sequi vergogna, però li besogna essere astuto et cauto. Decimo, deve essere lu patrone vigilante, et maxime nelli tempi che la nave naviga per mare, et al continuo despertarse alle hore et intender lu cammino che fa la nave, expercto et vigilante ad ogni guardia, non remictendo ogni cosa ala natura et alo nauchiero. Lasso l’altra parte che non deve ingorare tucto quello ch’adpertene allo vero marinaro.