Nel nostro Mediterraneo 290miliardi di coriandoli di plastica

Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare

Chi non le mai ascoltate? sono le parole che chiudono la canzone di Lucio Dalla, Come è profondo il mare, scritta nel 1977.
Come è profondo il mare è anche il titolo del libro di Nicolò Carnimeo, il nostro inviato nella più grande discarica del pianeta. La prefazione è di Predrag Matvejevic.
Un libro inchiesta che è denuncia e racconto nello stesso tempo. Poco meno di duecento pagine che si leggono d’un fiato, sono un pugno nello stomaco che lasciano sconcertati. È diviso in tre reportage che parlano di plastica, di mercurio e di tritolo e del modo in cui abbiamo scelto di vivere.
Carnimeo, giornalista e docente di Diritto della Navigazione presso l’Università di Bari e nello stesso tempo è anche un navigatore e scrittore. Nel febbraio del 2011 ve lo abbiamo presentato come scrittore parlando del suo libro Nei mari dei pirati, un’inchiesta sui pirati moderni che popolano i mari mettendo in pericolo il commercio marittimo; il libro ha fornito una chiave di lettura della attuale situazione geopolitica della moderna pirateria che ogni anno colpisce più di 17mila navi dal SudEst asiatico al golfo di Aden.
Nicolò Carnimeo
La capacità di Carnimeo di traguardare l’orizzonte, come scrive Predrag nella prefazione al libro, si trova anche in Come è profondo il mare, nel suo respiro planetario, nell’analisi lucida di uno scenario reale. Scenario che il nostro “navigatore” descrive dopo aver fatto un lungo viaggio, che lo ha portato dagli oceani al nostro Mediterraneo, alla scoperta “della più grande discarica del pianeta” lanciando un preoccupante allarme sul livello di inquinamento dei nostri mari. Il lungo viaggio è iniziato a Londra quando ha incontrato Charles Moore lo scopritore del Great Pacific Garbage Patch, l’immensa isola fluttuante negli oceani formata da tutti i rifiuti di plastica che abbiamo gettato negli ultimi 50 anni. Il merito di Moore è di avere mostrato al mondo ciò che era evidente, ma nessuno riusciva o voleva ancora recepire.
I vortici creati dalle correnti negli Oceani
L’isola di plastica l’ha scoperta per caso nel 1996, quando l’elica del motore del suo catamarano Alguita rimane impigliata in un groviglio di reti. L’isola non è segnata sulle carte nautiche, né si può avvistare dall’alto. Eppure è grande quanto un continente.
Gli oceani, con un gioco di correnti raccolgono le migliaia di tonnellate di plastica e le compattano in giganteschi ammassi e li fa convergere in alcuni punti e lì restano e forse resteranno per sempre. Sono miliardi di pezzetti di plastica, minuscoli frammenti multicolori, – che Moore ha chiamato coriandoli – risultato della plastica che si degrada, che si aggregano e si disgregano. Funzionano come una spugna: si caricano di veleni e si infilano nella catena alimentare, giungendo fino all’uomo. Ancora poco o nulla si sa su come questo nuovo continente muterà le regole della vita nel mare oltre che la nostra. Ma di isole ce ne sono altre, due nell’Atlantico, una nell’Oceano Indiano, due nel Pacifico. Ma sono soltanto le principali.
Quella nel Pacifico settentrionale pare sia grande quanto l’Europa! Nel Mediterraneo il problema è più grave, perché la plastica, nel mare chiuso, rimane intrappolata. Anche dove l’acqua sembra cristallina, limpidissima, soltanto se si cala una rete che filtra il mare, ci si rende conto della quantità di plastica. È una cosa devastante, nel nostro Mediterraneo ci sono miliardi e miliardi di microframmenti. In media il loro numero per chilometro quadrato è 115mila, il che vuol dire che in tutto il Mediterraneo, nei primi 15 centimetri d’acqua ce ne sono 290miliardi! La stessa sabbia dove camminiamo, ormai è di plastica. Ma da dove viene? Sono i milioni di oggetti di plastica usa e getta, di polietilene, che utilizziamo ogni giorno, bicchieri, piatti, bottiglie.
La plastica non è l’unico elemento che sta devastando i nostri mari, sono i veleni ancora più pericolosi: pesticidi, metalli pesanti come piombo, arsenico, cadmio e soprattutto mercurio. Nel 2009 nel Gargano l’incomprensibile spiaggiamento di sette giovani capodogli fece impressione. Dall’esame degli stomaci venne fuori una montagna di plastica, sacchetti, bottiglie, contenitori vari, attrezzi da pesca, fili di nylon, ami. Addirittura da un esofago fu estratta una rete lunga centocinquanta metri del peso di 80 chili!
Ma ad uccidere i sette capodogli è stato qualcosa presente nei loro tessuti, nei muscoli, nel cervello, è stata l’alta concentrazione di mercurio etilico, altamente tossico che una volta assunto è in grado di attraversare le membrane cellulari. Risulta ineliminabile e si accumula. Questo veleno entra rapidamente nell’organismo principalmente attraverso l’assunzione di cibo. Più cibo contaminato si ingerisce, maggiore è il bioaccumulo. E come i veleni contenuti nella plastica, il metallo si trasmette da un essere vivente a un altro della catena alimentare insieme agli altri inquinanti.
Infine il nostro inviato sottolinea quanto poco si parli dell’inquinamento radiottavivo del mare; la prima a parlarne fu la scienziata Rachel Carson negli anni cinquanta. È l’inquinamento più pericoloso e ineliminabile tra i rifiuti tossici. I materiali usati per la fissione nucleare mantengono il loro potenziale contaminante per moltissimo tempo. Al plutonio servono 24mila anni per perdere la metà della sua carica radioattiva, per estinguerla completamente ce ne vogliono tre milioni di anni e mezzo. Se vi sembrano pochi…
E tanto per non farsi mancare nulla Carnimeo chiude la sua inchiesta parlandoci degli esplosivi, residuati bellici di ogni tipo sversati in mare, capaci di provare malattie e forme tumorali. La bonifica di residuati bellici immersi o chi si trovano sulla battigia è uno dei principali compiti dei palombari della marina militare che ancora oggi ripuliscono il mare da circa quattromila ordigni l’anno.
Il Mediterraneo è la culla dell’Europa, ha scritto Matvejevic, ma diciamo noi, non la sua discarica…
Carnimeo con il suo libro ci incita “a fare qualcosa: ogni comportamento individuale è importante perché il mondo cambia per l’agire dei singoli. Ognuno di noi deve fare la sua parte. Non bisogna più usare la plastica usa e getta, dobbiamo sostenere il riciclo. È stato calcolato che nella sola UE nel solo 2010 sono stati utilizzati 99,5 bilioni di buste di plastica e il loro utilizzo è durato al massimo un’ora. E le bottiglie? Dobbiamo neutralizzare un’abitudine sociale che ci spinge a consumare tonnellate di prodotti che nascono già come rifiuti.”
Maurizio Bizziccari