In libreria ospiti d’eccezione: Sebastiano Tusa e Giovanni Gallo presentati da Claudio Mocchegiani Carpano

Sebastiano Tusa
Il prossimo lunedì 18 marzo alle 18.30 un appuntamento da non perdere nella nostra libreria: la conferenza,  – presentata dal prof. Claudio Mocchegiani Carpano – di archeologia subacquea con Sebastiano Tusa, archeologo e direttore della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali del Mare della regione Sicilia e con Giovanni Gallo, restauratore e direttore della società Legni e Segni della Memoria di Salerno, specializzato nei problemi legati al trattamento e recupero dei legni archeologici bagnati.
La conferenza è un’anticipazione del convegno organizzato dalla Scuola Navale della GdF di Gaeta che si terrà il 26 aprile nell’ambito dello Yacht Med Festival.   
Tusa, per la prima volta a Roma, parlerà delle straordinarie campagne di ricerche nel mare delle isole Egadi, che hanno portato a recuperare ben otto rostri romani e punici, sette elmi e tanti altri reperti. I rostri sono quei poderosi strumenti, pezzi unici fusi in bronzo, chiamati anche ariete, ram in inglese, i veri protagonisti delle battaglie navali, l’arma letale applicata principalmente alle triremi (navi da guerra tra le più diffuse nell’antichità dall’epoca greca arcaica) utilizzata per speronare la nave nemica, penetrava nella fiancata facendola a pezzi provocandone il più delle volte l’affondamento. Hanno sicuramente determinato lo svolgersi della battaglia delle Egadi del 241 a. C. la più grande battaglia navale di tutti i tempi dove erano impegnati duecentomila uomini e milleduecento navi.
Recupero di un rostro con il ROV
Si affrontarono la flotta romana al comando di Lutazio Catulo e quella cartaginese comandata da Annone, e culminò con la disfatta dei cartaginesi. Da quel momento Roma diventò la potenza militare che dominò il mondo, ma soprattutto noi ora non parliamo l’arabo!
Come ben si sa l’archeologia, come ogni altra scienza, ha bisogno di prove. L’archeologo se afferma certe cose le deve provare con prove precise. E quali potevano essere le prove? Trovare le navi della battaglia o comunque dei reperti, elementi che potessero indiziare il luogo dello scontro. E i rostri sono le prove a lungo cercate dagli archeologi per stabilire con esattezza dove si svolse quella famosa battaglia navale: a circa 3 miglia a nord ovest dell’isola di Levanzo, la più piccola dell’arcipelago. La ricerca ha inizio nel 2005, quando la Soprintendenza del Mare inizia la collaborazione con la statunitense Rpm Nautical Foundation, diretta da George Robb Jr.
Nave Hercules: il recupero dell’ottavo rostro
La Rpm ha messo a disposizione la sua nave Hercules per le ricerche in alto fondale. Seguendo un metodo sistematico sono stato sezionati e scandagliati circa 210 Kmq di mare con delle griglie precise in maniera estremamente precisa senza tralasciare spazi inesplorati. Hercules “armata” è con le più moderne strumentazioni per le ricerche subacquee: il sonar a scansione laterale, il ROV (Remote Operated Veicle) un sofisticatissimo robot di ultima generazione.  Le campagne di ricerca sono contrassegnate da recuperi straordinari, e ancora tanti bersagli attendono di essere ispezionati, porzioni lignee degli scafi, armi, suppellettili e attrezzi di bordo, anfore e altri rostri…
Il progetto è seguito e supportato dall’Assessorato ai Beni Culturali e l’Identità Siciliana della Regione Sicilia, tramite la Soprintendenza del Mare, diretta da Tusa, consulente scientifico del progetto e dall’architetto è Stefano Zangara, responsabile dell’ufficio “Progettazione delle ricerche in alto fondale e degli itinerari culturali subacquei” della Soprintendenza del Mare. Inoltre, Salvatore Palazzolo, funzionario dell’Unità Operativa è il tramite fra gli italiani e gli americani.


Giovanni Gallo
Giovanni Gallo è il restauratore direttore del laboratorio Legni e Segni della Memoria di Salerno che ci parlerà dei problemi legati al trattamento e recupero dei legni archeologici bagnati.
Ha 53 anni. è salernitano doc, ha iniziato a occuparsi di restauro nel 1980, la sua è la formazione di un restauratore che si è prestato allo studio sistematico delle problematiche della materie organiche del legno. Non esiste un titolo universitario che comporti una specializzazione in questa materia. La sua è una laurea che non esiste, ma è conquistata sul campo, un dottorato di ricerca unico. «Legni e segni della memoria» è la società che ha messo a punto una tecnologia esclusiva per mantenere la stabilità dimensionale dei legni e per avere quel minimo di caratteristiche fisico meccaniche legate alle necessità espositive ottenendo grandi risultati. A partire dal 2006 è un progetto d’eccellenza riconosciuto dal MIUR, ministero della ricerca.
La tecnologia vale per tutti i tipi di legno, vuoi che sia rovere o quercia, cambiano soltanto i tempi di trattamento.
Relitto di Marausa, Marsala
Il cuore dei trattamenti è legato al sistema di essiccamento che avviene con camere ipobariche funzionanti in sottovuoto, perché le temperature di esercizio legate alle dinamiche dell’acqua e del vapore avvengono a temperature più basse. A 80 millibar l’acqua bolle a 40 gradi, quindi con bassissime temperature di condizionamento, che evitano tra l’altro le caratteristiche bruciature del legno. Mantenendo le camere intorno ai 50 gradi, lentamente si toglie tutta l’acqua senza nessun tipo di collasso del legno. Per i legni con uno spessore di 3 cm e lunghi circa 1 metro il trattamento in camera dura una decina di giorni, un mese per i pezzi più grandi. Bisogna sempre ricordare che si parte da contenuti d’acqua del 650% e il trattamento finisce intorno ai 20/25%, alla fine il legno acquista un “sapore rustico” come era in origine e si può trattare con cere come se fosse un  legno fresco.
Laboratorio Legni e Segni: vasca per l’impregnazione
Ogni singolo pezzo di legno viene schedato, catalogato e a ciascuno viene assegnato un protocollo per la successiva lavorazione che consiste nell’impregnazione con una soluzione di carboidrati complessi, sostanzialmente molecole che si usano nell’industria alimentare e che sono molto affini a quelle che il legno ha perso.
Presentatore e moderatore è Claudio Mocchegiani Carpano, “decano” dell'Archeologia Subacquea italiana, ideatore nel 1986 dello STAS, ovvero il Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea, una struttura operativa di tecnici e archeologi che lavora per e con le Soprintendenze in collaborazione con i servizi a mare dei carabinieri, polizia, guardia di finanza, vigili del fuoco, capitanerie di porto e  con la Marina Militare che ha permesso un “utilizzo” archeologico dei cacciamine dotati di sofisticati mezzi di ricerca sottomarina.
C. Mocchegiani Carpano
Nella sua lunga carriera, la ricerca che più gli sta nel cuore è quella nel 1974 quando esplorando i collettori allagati negli ipogei del Colosseo (che soltanto oggi sono visitabili) scava un collettore ostruito dalla antica “spazzatura” prodotta degli spettatori. Trovò di tutto dagli ossi di animali feroci ai noccioli di pesca e altri residui vegetali. Inizia così una ricerca interdisciplinare che ancora non era diffusa. Attraverso la “spazzatura” del monumento si è riusciti a documentare realmente la vita e le attività nell'Anfiteatro Flavio che fino a quel momento si conoscevano soltanto attraverso le informazioni degli autori antichi.