Che emozione vedere un rostro rimasto sepolto per 2253 anni!

Il recupero del rostro numero 8
A fine 2011 abbiamo parlato del ritrovamanto del rostro numero sette da parte del pescatore trapanese Mario Maltese. Invece, la nostra amica Vitalba Liotti lo scorso 5 luglio, ospite a bordo della nave da ricerca Hercules, ha provato l’emozione di assistere in diretta al recupero dell’ottavo rostro che “taglia la testa al toro”: il teatro della Battaglia delle Egadi è a nord ovest dell’isola di Levanzo. E peccato non ci sia sto il tempo per recuperare altri due rostri individuati dal sonar.


Ecco il suo racconto arricchito dalle fotografie da lei stessa scattate.
La Hercules
 “Daniele Z”, è il nome che l’equipe della Hercules ha dato all’ottavo rostro della Battaglia delle Egadi. Era lì dal 10 marzo 241 a.C., giorno in cui si è combattuta la Battaglia delle Egadi, ad una profondità di 86 metri, parzialmente sepolto, su un fondale prevalentemente sabbioso a circa tre miglia a Nord-Ovest dell’isola di Levanzo.
Proprio in questo tratto di mare il console Lutazio Catulo aveva sconfitto il cartaginese Annone. Il romano fu poi portato in trionfo a Roma, e in suo onore è stato eretto il tempio di Giuturna, presso Largo Argentina. Tornato in patria al cartaginese, invece, fu tagliata la testa per l’onta subita. Così si usava…


Il luogo della battaglia, erroneamente creduto Cala Rossa a Favignana, così chiamata, si pensava, in ragione del sangue versato dai combattenti, a causa dei numerosi ritrovamenti, si corregge dunque con quello delle acque tra Levanzo e Marettimo. L’errore dell’attribuzione del luogo era stato dovuto al fatto che Polibio avesse parlato di  Aegursai, come si chiamavano le isole Egadi e non di Aegusa, cioè come i Romani chiamavano Favignana. Per Polibio  i Cartaginesi “erano di gran lunga superiori sia per la velocità delle navi, sia per il modo della costruzione, sia per l’esperienza e l’abilità dei marinai. Se qualcuno di loro era respinto dal nemico, si ritiravano senza correre alcun rischio, perché potevano muoversi agilmente e prendere il largo. Il nemico avanzava per inseguirli; e allora si giravano, volteggiavano intorno o gli piombavano sul fianco urtandolo senza posa, mentre la nave romana poteva appena virare nuovamente, per la pesantezza e la scarsa esperienza dei rematori. Ciò fu causa di un gran numero di affondamenti…”.

Appunto a causa dei numerosi affondamenti del naviglio da guerra, ma anche di quello commerciale, provocato pure dalle tempeste e quindi i conseguenti naufragi che, attraverso analisi topografica, la posizione di tutti i “target”, conferma una concentrazione all’interno di un’area ben definita. Ciò rafforza l’ipotesi che sia proprio questo lo spazio di mare teatro della Battaglia delle Egadi, che ha avuto come epilogo lo scontro finale.
5 luglio, ore 7,30 appuntamento al porto di Trapani per la partenza della nave oceanografica “R/V Hercules”, col comandante maltese Edwin Vella che ci condurrà alla volta dei nuovi recenti rinvenimenti. La giornata si presenta calda ma  tersa, il mare  piatto  e calmo. Saliamo a bordo, conosciamo e salutiamo l’equipaggio. Si parte in perfetto orario. L’emozione ha inizio.
Le attività specialistiche in alto fondale per il recupero del rostro sono state svolte grazie alla nave oceanografica “R/V Hercules”, della Fondazione statunitense RPM Nautical Foundation, di concerto con la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana. Il progetto scientifico appena concluso, “Archeorete Egadi 2012”, è stato coordinato da Sebastiano Tusa, Soprintendente del Mare, da Stefano Zangara, della Soprintendenza del Mare e da Jeff Royal, della RPM Nautical Foundation.

Manovra per calare il ROV
L’Hercules è una nave a posizionamento dinamico, dotata di quattro eliche e quattro motori, azionati da un pc che ne gestisce il punto nave. Alla sua posizione satellitare sono poi collegati tutti quegli strumenti che scandagliano il fondo in maniera sistematica non tralasciandone alcuna porzione. Tutti i segnali sonar vengono poi decodificati e, per quei target identificati come potenzialmente archeologici, si ritorna sul luogo con il ROV, mezzo filoguidato subacqueo, i cui bracci vengono manovrati come una sorta di joy-stick dal presidente George Robb.
Dei tre rostri intercettati è stato recuperato solo l’ottavo, appunto “Daniele Z”, ma, come dimostra la copertura sonar del luogo, oltre agli altri due rostri, molti altri reperti sono ancora giacenti in situ.

Vitalba Liotti e il c.te Edwin Vella
Nella stessa giornata sono state recuperate anche tre anfore di tipo greco-italiche e puniche, grazie sempre all’aiuto delle speciali braccia filoguidate del ROV.  In più è stato pure utilizzato e sperimentato un AUV, Autonomous Underwater Vehicle, dotato di sonar e telecamere per la ripresa di immagini stereoscopiche, che produce mappe dettagliate di delimitate aree sensibili, da cui se ne ricava relativa modellazione 3D.
Le operazioni del recupero in alto fondale, seguite nello schermo prima e in diretta poi, ci hanno tenuti col fiato sospeso fino all’emozione ultima di quando il rostro è stato issato a bordo della Hercules.  Anni di storia si riavvolgevano davanti ai nostri occhi a velocità sostenuta, mentre questo percorreva a ritroso, aiutato dal ROV, quegli 86 metri che lo avevano custodito nella profondità tutti quei secoli. Finalmente ritornava in superficie e la nebbia che ad un tratto si diradava, ce lo rivelava  com’era, ricoperto di concrezioni e depositi. Questo è della tipologia detta a tridente, di forte capacità contundente, di quella cosiddetta a perdere, come supportano peraltro le fonti. Esso infatti penetrava in maniera obliqua nel fianco della nave nemica e vi restava incagliato, mentre la nave che aveva sferrato l’attacco indietreggiava, dopo aver determinato nella nave avversaria una ferita difficilmente rimarginabile. 

L’AUV, Autonomous Underwater Vehicle
Una volta a bordo, il rostro è stato subito oggetto di attenta osservazione e di studio. A giudicare dall’elmo piumato e da un’iscrizione appena visibile, potrebbe essere, da una prima analisi, confermabile solo dopo la sua ripulitura, per Sebastiano Tusa, il settimo rostro romano ad oggi rinvenuto: solo uno  è punico, recuperato e restaurato negli anni precedenti, si trova in esposizione presso l’Antiquarium dell’ex Stabilimento Florio di Favignana. Ha incisa un’invocazione alla divinità, perché funzionasse come arma micidiale, che riporta: “Baal possa far penetrare questo strumento nel ventre della nave nemica”. Ma, a questo punto, tranne che i prossimi rostri che si trovino non siano tutti punici, una domanda sorge spontanea: che Polibio e le altre fonti siano stati un po’ troppo di parte nell’esaltazione della romanità? Gli altri rostri, tutti romani appunto, riportano iscrizioni del tutto diverse, a dimostrazione del differente approccio di costoro alla guerra: essi non si affidavano infatti alle divinità, ma a loro stessi. 
Le probatio dicono solo che chi ha realizzato il rostro lo ha fatto secondo la giusta mescola di bronzo e piombo e che ha provato che questo funzionasse.  Purtroppo non è stato possibile recuperare gli altri rostri, in quanto ancora semisommersi dalla sabbia  e a detta di George Robb, presidente e fondatore della  RPM Nautical Foundation, occorrevano almeno due giorni di lavoro e quello era l’ultimo giorno utile della loro missione. Si è potuto solo vederlo adagiato sul fondo disturbando un polpo che ne aveva fatto la sua dimora, girargli intorno e provato invano a sollevarlo. Sconfitti, si è dovuto lasciarlo ancora lì, fino al prossimo giugno, quando tornerà nuovamente la Hercules in Sicilia per una nuova missione.
Alle 16.00 arriviamo in vista di  Favignana, col ricco carico di reperti a bordo, ci scorta la capitaneria fino all’ormeggio. Approdiamo con gli studenti dell’Istituto Sciascia di Trapani in magliette rosse, che ci accolgono festosamente insieme alle autorità locali con a capo il Sindaco e il direttore del Museo Pepoli di Trapani, Valeria Li Vigni. “È arrivato un bastimento carico di…” è l’iniziativa congiunta con la Soprintendenza ai Beni Culturali di Trapani, diretta dal Soprintendente Paola Misuraca e rappresentata a bordo da Renato Alongi. Peccato, la giornata volge al termine e, dopo la conferenza stampa, ripartiamo per  rientrare a Trapani.
Sebastiano Tusa “recupera” un’anfora
“Daniele Z” si trova presso i laboratori della Soprintendenza per i Beni Culturali di Trapani. Per esso è già stato avviato il processo di primo trattamento e a breve sarà intrapreso il lavoro di restauro. Successivamente, assieme agli altri sette rostri rinvenuti e agli altri reperti del luogo, elmi in bronzo,  anfore, piccolo vasellame di bordo, ecc., si aggiungerà alla collezione permanente di Archeologia Subacquea negli spazi dell’ex Stabilimento Florio di Favignana, dove sarà allestita la “Sala dei rostri”. In essa, attraverso l’ausilio di apparati multimediali, il visitatore potrà totalmente immergersi nell’ambiente e nell’atmosfera della Battaglia delle Egadi.
Vitalba Liotti

Il ROV al lavoro per recuperare l’anfora















COM’ERANO FATTI I ROSTRI (da Archeologia Viva, gennaio 2012)
Al tempo della prima guerra punica. Le tre parti fondamentali dei rostri delle Egadi sono il “camino” superiore (mancante nel “Catherine D” e nel “Rachael R”), la “piastra” inferiore e le “lame”, tre per lato. Il camino, a sezione quadrata a tre lati, fissato fasciandolo alla ruota di prua con chiodi di bronzo, ha il bordo anteriore piatto, armonicamente arcuato, che non si annulla completamente sulla superficie del fendente più alto, ma continua al centro di esso con un evidente rilievo che in progressione si assottiglia verso la punta, assumendo la stessa configurazione del fendente verticale centrale. Applicati sul dritto di prua. I rostri delle Egadi furono realizzati con il metodo indiretto con stampo diviso in due parti, unitariamente fuse in bronzo che, come già detto, si andavano a inserire, coprendola, sull’intersezione delle porzioni terminali in legno del dritto di prua, della chiglia e in alcuni casi delle cinte laterali delle antiche navi da guerra. La piastra inferiore era fissata anch’essa con chiodi di bronzo e aderiva con la sua forma a U alla porzione più prominente della chiglia; questa, a differenza di quella superiore, ha una forma fusiforme con un andamento rettilineo e non arcuato convergente rispetto all’asse del tridente; su di essa si può notare una serie di scanalature parallele verticali.
Micidiale arma di sfondamento. Se tutta la struttura dei rostri di Levanzo è laminare e costituiva una sorta di fodera alle suddette parti lignee degli scafi, diversa è la loro porzione antistante per possanza e robustezza. Questa parte è fondamentalmente costituita da un unico possente maglio verticale rafforzato da ben sei fendenti laminari orizzontali, tre per lato.
Proprio le sei lame, orizzontali e sovrapposte, e la testa del maglio verticale completavano la potente arma, usata per colpire le navi direttamente sulle fiancate, poco sotto la linea di galleggiamento. Ciò faceva diventare il rostro uno strumento micidiale che veniva scagliato con forza sulle fiancate


Rostro romano, sequestro giudiziario del 2004.
Particolare della decorazione a rosette del primo rostro recuperato da pescatori a Levanzo








Rostro n. 2 Nome Catherine D (operatrice sanitaria) 
Origine di appartenenza non stabilita, recuperato dalla Soprintendenza del Mare con RPM Nautical Foundation, 2008. 








Rostro n. 3, punico, durante il restauro. Recuperato dalla Soprintendenza del Mare con RPM Nautical Foundation, 2010. Nome Vincenzo T (Vincenzo Tusa, padre di Sebastiano)
Si notano le sbeccature degli angoli dovute al colpo inferto
alla fiancata di una nave nemica.
Sul metallo era incisa un’iscrizione punica.





Rostro n. 4,  romano, recuperato dalla Soprintendenza del Mare con RPM Nautical Foundation, 2011. Nome Claude D (scrittore e magnate)
I due rostri di navi romane sono praticamente gemelli, con l’immagine a rilievo di una Vittoria alata e con un’iscrizioneche riporta i nomi
dei magistrati incaricati della manutenzione della flotta. 

Rostro n. 5, fase di recupero con il ROV, di origine di appartenenza non stabilita, recuperato dalla Soprintendenza del Mare con RPM Nautical Foundation, 2011. Nome Rachael R (studiosa)





 Rostro n. 6, romano, recuperato dalla Soprintendenza del Mare con RPM Nautical Foundation, 2011. Nome Cecé P (pioniere della subacquea)





Rostro n. 7, romano, ripescato dalle reti a strascico dalla motopesca Nuova Madonna della Grazia, 2011, nessuna denominazione.